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mercoledì 4 gennaio 2017

mito e utopia


post di Roberta Raneri, 5 I


 appunti sul convegno  del 9 e 10 dicembre 2016
 “Pier Paolo Pasolini e… la profezia del Mediterraneo”
presso la  Casa San Tommaso di Linguaglossa. 




"Parlo da utopista, lo so. Ma non c’è alternativa: si deve essere utopisti oppure sparire”.  Proprio con queste parole, nelle quali si  concentra quella che è la concezione pasoliniana in merito all’utopia, inizia la relazione del professore  Francesco Coniglione nella giornata del 10 dicembre a Linguaglossa, con lo scopo di presentare con chiarezza il rapporto e la differenza tra Mito e Utopia, facendo cosi emergere  l’ utopista per eccellenza,  Pier Paolo Pasolini.
Secondo il relatore, il pensiero di Pasolini è quello che più ci aiuta a comprendere cosa si intenda per utopia o “sogno dell’occidente” e mito. L’utopia non è speranza, né significa pensare a ciò che possa essere nella sua integrità perfetto poiché l’idea di perfezione è già  frutto della speranza di reintegrazione di una condizione passata ritenuta ottimale. Solo attraverso i miti questa idea di perfezione vuole rivivere la condizione originaria, consentendole di farla emergere anche nei tempi odierni.  Tuttavia, se il mito è sogno dell’immaginazione che guarda al passato, l’utopia è rappresentata dalla ragione che fa riferimento all’età futura. Secondo l’opinione del relatore, le utopie moderne riguardano  città ideali concepite su un piano razionale,  nate durante l’età della ragione e nel momento in cui entra in crisi il millenarismo. La realizzazione dell’utopia avviene attraverso la personificazione dell’anima  e quest’ultima non si fonda sulla speranza di un paradiso, ma su un incremento della conoscenza. Ha pertanto origine  dalla scienza e consente all’uomo di uscire dalla condizione di “ferinità” per accedere ad una società migliore.  L’utopia è dunque il sogno dell’età della ragione, di una umanità uscita dal Medioevo che pone tutte le proprie speranze nello sviluppo della ragione. Il mito fa riferimento al passato, mentre l’utopia è completamente rivolta al futuro, in cui bisogna raggiungere una condizione di progresso.
Riprendendo la filosofia baconiana , il relatore sostiene che egli non fu un rivoluzionario per le concezioni scientifiche, ma lo fu perchè immaginò una società utopica governata dai sapienti, ovvero da coloro che si dedicavano alla conoscenza delle caratteristiche della natura, affinchè quest’ultima si mettesse a servizio dell’uomo.
 Possiamo parlare di utopia all’interno della società? Il socialismo è la massima espressione di questa concezione di perfezione, secondo cui  ciascuno che ricopre un ruolo ben preciso ha il compito di restare al proprio posto per una nuova finalità generale. L’utopia infatti, come già detto,  non deve prospettare un ritorno ad uno stato originario, ma descrivere uno stato o una condizione  storica alternativa. Quest’ultima esiste all’interno della società che crede in se stessa e nelle possibilità della ragione umana e della rivoluzione futura . Una società che vede il futuro come pericolo tende a guardare indietro, e quindi verso il mito,  considerato dal relatore un ricordo nostalgico, risalente all’età dell’oro.
Oggi non si scrivono più utopie ma “distopie”. - Perché?-  si chiede il professore Coniglione.  

“Perchè noi non crediamo più nelle capacità dell’uomo e nella costruzione di  un futuro mediante il solo utilizzo della ragione” 

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