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domenica 13 novembre 2016

vivere, ovvero "essere per la morte"


post di Andrea Filogamo
classe 4 H

La morte: l’opposto della  vita; un alcunché che la maggior parte del genere umano non si aspetta ma che improvvisamente, in un batter di ciglia, in una infinitesima parte di secondo può arrivare a negare la nostra permanenza in questo mondo dove fato e tempo, come dittatori incontrastabili, impongono le loro leggi.
La morte, la cessazione, la perdita. Questi termini sono dei sinonimi che, per essere tali, devono avere delle analogie dal punto di vista significativo. Fermo restando che ognuno vive il problema della morte secondo la propria individualità e formazione, il secondo ed il terzo termine sono soltanto delle caratteristiche del primo.

Analizzando l’etimologia della parola morte, vediamo che essa deriva dal latino mors, che ricorda molto la parola italiana morso. Potremmo interpretare tutto ciò dicendo la morte è, metaforicamente, un morso che colpisce la nostra sensibilità e ci priva di qualcosa di cui naturalmente prima eravamo proprietari. Ma che significa essere proprietari della propria vita e cosa significa che la morte è ciò che ci priva di essa?

Secondo uno dei maggiori filosofi dell’età ellenistica, ovvero Epicuro, l’uomo non deve avere paura della morte poiché quando la morte c’è noi non ci siamo, quindi è uno stato che non ci riguarda. Oserei  però definire, per certi versi, sbagliata la tesi postulata da Epicuro. L’errore commesso dal filosofo sta nel definire che la morte non riguarda noi, non ci tange in alcun modo, poiché essa è qualcosa che riguarda ciò che eravamo prima che essa sopravvenisse. Dicendo ciò, però, egli riduce la nostra persona ad un essere che vive solamente nel presente e a cui ciò che accadrà dopo non gli appartiene. Ma tutto ciò, a parer mio, è sbagliato poiché cosi ragionando omettiamo una delle principali capacità dell’uomo, ovvero quella della pianificazione.
Quando noi, partendo da cose anche molti semplici che riguardano la nostra routine quotidiana, iniziamo la giornata cercando di portare a termine quelle azioni che abbiamo in progetto di fare, stiamo appunto pianificando qualcosa. Ma come mai pianificare è così importante per l’uomo e che collegamento ha ciò con la morte ?

Pianificare per l’uomo significa voler compiere delle specifiche azioni , qualcosa che sicuramente avverrà nel futuro. Tuttavia le attività che compie l’uomo nel presente sono in funzione di quelle future e queste ultime potrebbero anche definirsi “connaturate” al nostro essere contemporaneo, anche se effettivamente sono strettamente legate al futuro. Alla luce di quanto detto, l’uomo conduce la sua vita progettando le attività che si accingerà a compiere e cercando di realizzarle. La morte è invece l’esatto opposto della vita poiché è la cessazione di questo continuo afflato verso il futuro e segna dunque la perdita di ciò che volevamo fare. 

Io penso che l’uomo debba avere paura della morte, debba avere una folle paura di perdere tutto ciò che gli appartiene, deve temere di rinunciare a tutto quello che ha di più importante. Se non si avesse paura della morte, in qualche modo, si svaluterebbe anche l’importanza della vita stessa, si vivrebbe alla “giornata”, sperando di non morire, ma non preoccupandosi della morte stessa.
Epicuro rimuovendo la paura della morte, dava una soluzione per vivere felici ma anche questa affermazione a mio parere risulta errata.

Un’altra parola che, in conclusione, si può ricollegare alla morte è: Limite. Come descritto in precedenza, la morte è la cessazione, è la perdita di tutto, è ciò che blocca la nostra vita, è il limite di essa stessa. Noi esseri umani, immersi in un mondo in continuo divenire, abbiamo paura di essere limitati, perché l’essere totalmente immobili non inerisce  alla nostra natura. 

Ma l’angoscia della morte e il non voler raggiungere il limite di tutto possono essere  trasformati in energia positiva, nel nostro motore vitale, in ciò che ci spinge a compiere tutto ciò che vogliamo concretizzare, perché fortunatamente non avremo l’eternità per farlo.


Quindi, non è forse la paura che riesce a farci vivere con un marcia in più e a  renderci realmente felici di vivere il tempo che ci è rimasto?

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