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venerdì 30 dicembre 2016

Pasolini regista

Linguaglossa, 9 dicembre 2016

RIFLESSIONI SU PASOLINI E IL  SUO CINEMA

L’interesse di noi ragazzi è stato facilmente catturato da alcune sequenze del documentario Viaggio in India in cui Pasolini esprime le sue idee circa l’insegnamento scolastico, l’indottrinamento dei ragazzi e le loro aspirazioni future. I giovani, a parer suo, vanno lasciati sognare; devono essere loro stessi a saper decidere se a far per loro è più la vita di campagna o quella di città; proprio loro, e solo loro, sapranno quel che è più giusto imparare per la loro vita: ognuno deve avere le proprie aspirazioni, cosciente delle conseguenze positive e negative che determinate scelte potranno causare.
Anche la visione del film Accattone è stata un momento di maggiore vicinanza tra noi e l’intellettuale. Accattone ci ha permesso di constatare alcune differenze comportamentali ed abitudinali di donne ed uomini negli anni di Pasolini ed in quelli nostri. Pasolini che in tanti film ci mostra la bellezza dei corpi maschili accanto a quelli femminili, denuncia qui un rapporto uomo-donna segnato dal maschilismo, dallo sfruttamento, a cui le figure femminili del film reagiscono come possono: una donna sopraffatta dalla violenza che finisce in carcere, una madre di famiglia fortemente devota all’immagine padre a prescindere dal comportamento più o meno discutibile di questi, una donna ingenua che rappresenta la speranza del riscatto.
Oggi, ovviamente, tale stile di vita ci appare inaccettabile, quasi osceno. Ed è questo, sicuramente, un segno di progresso (da distinguere dal senso più negativo di “sviluppo”, per dire con il regista) della società. D’altronde una volta, bisogna anche ammetterlo, le famiglie erano molto più unite e longeve, ma a quale prezzo? È sicuro che valga la pena di vedere un coniuge sottomesso alle volontà dell’altro per l’unità familiare? Siamo certi che questa sia davvero una forma di rispetto, e non una di timore?
Il convegno, quindi, nonostante la complessità e qualche difficoltà logistica, è riuscito a lasciarci un segno ed anche qualche interrogativo utile a porci in una situazione tale da doverci confrontare anche con noi stessi.
Cosa vogliamo realmente dalla nostra vita? Quali sono le nostre aspirazioni? Teniamo alla nostra libertà? Qual è il nostro ideale di relazione perfetta?
Giuseppe Casale 5 E


La parte del convegno che più mi ha interessato è stata quella di Pasolini regista. Mi ha sorpreso che gli attori dei suoi film fossero quasi sempre persone comuni che appaiono per lo più reali e sincere, grazie alla loro spontaneità, all’uso del loro dialetto, ai caratteri tipici di ognuno. Anche il venire a conoscenza della cura di Pasolini per ogni dettaglio, dall’ordine dei propri copioni, di cui abbiamo potuto vedere qualche pagina battuta a mano con la macchina da scrivere, alla precisione delle sue inquadrature sono aspetti che non conoscevo di tale scrittore e artista. Inoltre la proiezione del primo film di Pasolini Accattone mi ha permesso di notare e comprendere meglio alcune caratteristiche della cinematografia  di Pasolini spiegate durante gli interventi dei relatori ascoltati nella mattinata. Non avevo mai visto un intero film in bianco e nero e, nonostante mi aspettavo un film lontano dalla realtà dei nostri giorni, ho invece riscontrato una vicinanza impressionante dei temi sociali, e sono riuscito a seguirlo con interesse.
Luciano Pagano 5 E

Molto interessante venire a conoscenza di come scegliesse gli attori per i suoi lavori, come nel caso del documentario Viaggio in India, in cui si affida all’istinto, alla somiglianza con quello che avrebbe dovuto rappresentare l’attore, più che al bell’aspetto, come spesso accade oggi. Diversi i ritmi del film, molto più lenti rispetto alla velocità a cui siamo abituati nei film dei nostri giorni, rispecchianti d’altronde la frenesia e la velocità della società attuale che non ha più il tempo per assaporare scene di immensi paesaggi, panoramiche di luoghi senza tempo ripresi in silenzio per focalizzare maggiormente il soggetto, un privilegio riservato ai tempi passati che ancora un po’ di tempo riuscivano a trovarlo. Erano inoltre scene semplici, sia per la mancanza degli strumenti odierni e con la loro infinita gamma di effetti speciali che possono produrre e sia per il diverso pubblico, un pubblico che si stupiva con poco a differenza del pubblico attuale, continuamente bombardato da input esterni ed esigente nei confronti del grande schermo che come prima sfida deve catturarne l’effimera attenzione.
Ciò che inoltre ho notato è stata la grande differenza anche linguistica con il tempo della cinematografia pasoliniana, dialetti stretti distanti dal parlare odierno e a tratti anche difficili nella comprensione. Questo mi ha portato a ragionare sulla diversa conoscenza dei nostri dialetti al giorno d’oggi, una volta simbolo di identità culturale e territoriale, oggi messi da parte nella prospettiva del progresso nazionale, come l’avrebbe giudicato Pasolini? Negativamente considerandolo una perdita di identità? Un segno di omologazione?

Sara Cozzubbo   5A

Pasolini, la forza e il coraggio di idee “scomode”

ALTRE NOTE DI DIARIO SULL'INCONTRO DEL 9 DICEMBRE:

Ciò che mi ha colpito maggiormente è stata l’attualità delle questioni sollevate da questo particolare artista, in quanto se già negli anni ’70 parlava di “mutazione antropologica”, omologazione, cosa avrebbe pensato della società attuale in cui internet, social network, globalizzazione, hanno annullato ogni distanza e reso tutti sempre più simili, sempre meno diversi?
La sua visione del progresso infatti era totalmente opposta alla visione generale, vedeva più a fondo nella cose, riuscendo a scorgere aspetti ancora rimasti sconosciuti alla gente e il suo intento era quello di gridarlo forte a tutti, rendere tutti consapevoli del “rischio” a cui andavano incontro. Anche il documentario con le sue insistenti domande poste alla gente semplice, ai lavoratori, aveva lo scopo di sollevare il velo dell’apparente positività del progresso, mostrando l’altra faccia della medaglia, spesso neanche considerata. 
Ma soprattutto ad impressionarmi sono stati  il coraggio e la forza con cui sempre sostenne le sue idee, per quanto controcorrente, “scomode”, le portò sempre avanti finendo addirittura anche in carcere. Questo mi ha fatto molto riflettere e ha fatto sorgere in me delle domande chiedendomi ad esempio se al giorno d’oggi ci siano ancora dei giovani che sarebbero disposti a fare tutto ciò per degli ideali, per i loro ideali. Ma, sappiamo ancora così chiaramente cosa sono effettivamente degli ideali?
Con questo non intendo dire che l’incontro mi abbia semplicemente lasciato un’amara considerazione del mio tempo, tuttavia è innegabile che questo mi abbia permesso di guardare le cose con occhi diversi o semplicemente “confermato” impressioni e idee che già avevo o che mi ero fatta leggendo altri autori, suscitandomi inoltre curiosità nei confronti dei libri di Pasolini dai quali mi tiene momentaneamente lontana solo il timore di una grande crudezza nella rappresentazione di personaggi fin troppo reali.
L’unico modo per scoprire se sono davvero così, non è che leggerli.
Sara Cozzubbo   5A


Conoscevo la figura di Pasolini a livello scolastico: le coordinate spazio temporali del suo vissuto, le opere realizzate e alcuni aspetti del suo stile, non di più. Studiando in maniera “astratta” la personalità degli autori che ci vengono proposti, si viene a delineare nella nostra mente, un’immagine visiva frutto degli aspetti che cogliamo con maggiore interesse da libri, spiegazioni e analisi di opere. Tuttavia  non si ha mai la certezza che tale rappresentazione corrisponda a una vera conoscenza. La possibilità di ascoltare gli interventi di studiosi esperti, per quanto complessi da seguire, ci permette sicuramente di capire di più. Credo sia importante avvicinarsi con un approccio diverso e incontrare la vera persona, l’uomo attraverso le sue opere e nel caso di Pasolini ciò risulta interessante per la nostra formazione umana.
Ciò che mi ha colpito maggiormente è stata la proiezione di una foro di Pierpaolo Pasolini, esposta per alcuni minuti e che ho notato non appena siamo entrati nella sala. Una foto , spontanea,  che presentava in primo piano il suo viso nel quale spiccavano i grandi occhi blu, come il mare che lo circondava, spalancati, mirati a descrivere la sua determinazione e il suo desiderio di “denuncia” nei confronti della società. Apparentemente potrebbe sembrare una semplice foto di un momento della sua vita, ma ha suscitato in me un sentimento di grande stima nei confronti di un uomo che si è battuto per i propri ideali. Un uomo controcorrente, che se pur di grandissima cultura, decise di opporsi alla massificazione sociale, stando dalla parte del popolo e raccontando gli eventi, i personaggi, le storie dal punto di vista degli umili, privilegiandoli a tal punto da far sì che diventassero il punto di vista dell’intera sua opera.
Giulia Tomarchio  5 A


Non ho mai avuto un contatto diretto con le opere di Pasolini, non nego che l’esperienza di incontro con questo autore e regista nel convegno a lui dedicato di venerdì 9 dicembre ha suscitato in me una certa curiosità verso questa figura e ciò che ci ha trasmesso, che non mi è risultata poi così estranea. Ciò che mi ha profondamente colpito è stata l’esperienza che Pasolini ebbe con il cristianesimo. Era un anarchico, un difensore dei poveri, un ateo dichiarato, eppure ciò non ha definito linearmente il suo essere, perché provò ad andare oltre ad esprimere se stesso e il suo bisogno di  speranza e di giustizia. Per questo mise in discussione l’istituzione cattolica, non per offenderla, ma per capire e far capire, per questo realizzò Il Vangelo secondo Matteo, dopo una intensa e appassionata lettura del testo evangelico che lo coinvolse profondamente. Pasolini è riuscito ad affascinarmi per aver ricercato un senso all’interno di una società sottoposta al consumismo e all’omologazione, provando a non essere passivo, ma protagonista, non in senso narcisistico.  Pasolini è riuscito ad andare in fondo pur ricevendo critiche e portando avanti battaglie inutili o quasi. La sua indole analitica, evidente nel suo film/documentario sull’India ha dato vita a qualcosa di oggettivo e veritiero che servisse a smuovere le coscienze e a condannare il contesto sociale e politico ingiusto in cui si viveva. Le sue parole e la sua opera hanno reso la verità troppo scomoda ma possono essere uno stimolo per le giovani generazioni a mettersi in gioco e ad andare oltre le apparenze senza abbandonarsi alla noia e al non senso.
Maria Elena Di Carlo 5 A


giovedì 29 dicembre 2016

pagine di diario su Pasolini



Alcune classi del liceo Leonardo hanno preso parte, nei giorni 9 e 10 dicembre 2016, al convegno “Pier Paolo Pasolini e… la profezia del Mediterraneo”,presso la  Casa San Tommaso di Linguaglossa. 




pagine di diario delle due giornate




9 dicembre 2016

Ho partecipato, con alcuni compagni di scuola ed insegnanti, al convegno “Pier Paolo Pasolini e… la profezia del Mediterraneo” presso la Casa San Tommaso di Linguaglossa. Ho trovato interessante il concetto di utopia pasoliniana  presentato dal professore Fernando Gioviale, che ha aperto il discorso con un collegamento con il “Don Chisciotte” di  Miguel de Cervantes Saavedra, uno dei più celebri scrittori spagnoli del 1600. Don Chisciotte infatti, con il contadino Sancho, aveva intrapreso un lungo viaggio per la Spagna medievale con l’obbiettivo di combattere le ingiustizie difendendo i poveri dai ricchi potenti. Il povero Don Chisciotte aveva però un sogno irrealizzabile, poiché la sua visione di una società senza ingiustizie sociali non era coerente con l'epoca. Secondo il relatore anche Pasolini, proprio come Don Chisciotte, aveva intrapreso lo stesso viaggio attraverso le sue opere, rivelando le ingiustizie e sofferenze soprattutto nelle povere borgate romane. Questa perpetua voglia di denuncia, presente anche nei vari documentari,  fa di Pasolini il maestro dell’Utopia moderna. Il poeta tenta infatti continuamente di cercare il “sacro” dove questo non c’è: nel film “Accattone” (1961), per esempio, il protagonista, personaggio di un ambiente per nulla apparentemente sacro, conosce Stella, donna ingenua e buona che introduce nel film un’atmosfera di grazia e di pace e fa maggiormente risaltare le sofferenze umane-cristiane- in un mondo ai margini della legalità. Questo mi ha fatto capire che anche dove il “sacro” non c’è, o non è evidente,  si ha sempre la possibilità di trovarlo se lo si sa individuare. Pasolini, secondo il professore Gioviale, può  per questo essere considerato il miglior cristiano ateo della contemporaneità. Nel convegno e poi in classe abbiamo ascoltato e analizzato anche la poesia “Alì dagli occhi azzurri”, scritta da Pasolini nel 1964. Nei suoi versi Pasolini riesce a descrivere quasi nei dettagli il futuro dell’Italia e dell’Europa contemporanea che oggigiorno, proprio come predetto dalla poesia, è diventata la meta dei poveri migranti che cercano rifugio da condizioni estremamente difficili. Il contenuto rende dunque la poesia una vera e propria profezia. 


Stefano Pappalardo, 5 B

Il convegno mi è stato utile per conoscere un esponente importante della cultura italiana: non avevo mai sentito parlare di Pier Paolo Pasolini e venire a conoscenza dei suoi ideali così singolari mi ha aiutato molto ad ampliare il mio percorso personale di formazione. Ho apprezzato la passione con cui i professori hanno esposto le loro idee e le loro proposte. In particolare Graziella Chiarcossi, cugina dello scrittore, mi ha colpito molto per il suo entusiasmo nel ‘raccontare Pasolini’. Non avevo mai avuto l’occasione di partecipare a convegni di alcun genere e questa occasione mi è sembrata davvero efficace per ascoltare diversi punti di vista su un argomento. Lo stesso giorno ci è stata data l’occasione di vedere uno dei film realizzati da Pasolini, ‘Accattone’. Con questa pellicola il regista ha mostrato sul grande schermo la quotidianità della classe povera di quel tempo, che viveva nelle periferie delle grandi città senza alcuna speranza per un miglioramento della propria condizione. A mio parere, con questo film Pasolini è riuscito a lasciarci la consapevolezza che un uomo senza cibo né per lo stomaco né per la mente sarà sempre costretto a camminare in un lungo e immaginario circolo dove tutto è condannato a rimanere immutato
Federica Villari, 5 B


Conoscevo già Pasolini poiché ne avevo sentito parlare durante un’edizione del “TG 1” in cui si affrontava il caso della sua morte misteriosa, ma indubbiamente adesso credo di sapere qualcosa in più, specialmente riguardo il suo modo di scrivere e la sua produzione cinematografica. Il momento  che mi ha maggiormente colpito è stato il breve “conflitto” a cui hanno preso parte due docenti dalle idee discordanti: ciò mi ha fatto comprendere che Pasolini può essere analizzato da più punti di vista che possono essere perfino non coincidere.
L’esposizione è stata complessivamente molto interessante anche se, a mio parere, gli alunni avrebbero potuto  essere coinvolti meglio nel corso della giornata.
Mario Nicotra, 5 B

Il convegno tenutosi il 9 Dicembre presso il convento dei Domenicani di Linguaglossa, ha presentato un esponente di notevole importanza nel campo della sceneggiatura e della poesia italiana  nel Novecento quale Pier Paolo Pasolini.  Non avevo avuto modo precedentemente di conoscere bene la figura di Pier Paolo Pasolini, ma a seguito della visione del documentario “Appunti per un film sull’India”, l’intervento da parte del docente universitario Gioviale e la visione del film “Accattone”, ritengo di aver avuto il modo di accrescere le mie conoscenze. Ciò che mi ha particolarmente colpito è stata l'esposizione del relatore Mario Sesti in “la voce di Pasolini” su Cultura e denuncia sociale nelle opere di Pier Paolo Pasolini, seguita da un intervento in dissenso del professore Gioviale, che aveva già parlato di Pasolini in “un uomo, il sogno e la poesia”. L’esposizione è stata molto interessante e formativa, e certamente partecipare ad un convegno ha sempre delle finalità positive. Tuttavia il non aver potuto partecipare in modo più attivo per l'assenza di spazi di dibattito non mi ha dato la possibilità di chiarire alcuni dubbi su Pasolini, ancora in sospeso.
La giornata trascorsa insieme ai compagni non mi ha solamente coinvolto nello studio e nell' approfondimento dello sceneggiatore, ma ha fatto il modo di partecipare ad un’attività differente rispetto alle solite giornate scolastiche.
Roberta Pennisi,5 B



10 dicembre 2016

Ho avuto l’opportunità di partecipare ad un convegno dedicato esclusivamente alla figura di Pasolini, al suo ricordo, a ciò che ha lasciato e ha predetto.
Un primo ma centrale momento del convegno sul quale vorrei soffermarmi è stato  l’ intervento del professore universitario di filosofia, Francesco Coniglione, il quale ha proposto al pubblico una propria reinterpretazione del binomio mito-utopia in  chiave pasoliniana, con la spiegazione dei due concetti di mito e utopia, con differenze e analogie. La parte conclusiva è stata dedicata alla necessità di costruire utopie per una serena prosecuzione della cultura occidentale, riferimento cardine per tutte le altre culture nel mondo.
Ad apertura del discorso, il professore ha anteposto una nota riflessione di Pasolini, che oggi più che mai sembra incarnare i problemi sociali e antropologici della nuova era:” l’odio per la cultura non è del capitalismo, né del fascismo, l’odio per la cultura è della sotto-cultura, la cultura si proietta nel futuro solo con la scienza o utopia, la sotto-cultura si proietta nel futuro come speranza, e da qui deriva l’infelicità, poiché la speranza è retorica, meschina, ricattatoria e ipocrita”. Proprio da questa idea pasoliniana il relatore ha potuto edificare l’accattivante intervento, arricchito da continue definizioni, con discrepanze e somiglianze, su mito e utopia. La prima nota di discordanza, la prima peculiare distinzione, ha riguardato la concezione del mito come sogno dell’immaginazione, dell’utopia come sogno della ragione, della cultura. Da questa prospettiva non si può concepire che l’utopia si fondi sulla speranza di un paradiso né tanto meno su un perfezionamento etico-morale, bensì su un incremento della scienza e della conoscenza, che permetterebbe all’uomo di fuoruscire da una condizione di ferinità per accedere alla  condizione ideale di una società perfetta. Difatti nel Rinascimento e poi nell’Illuminismo, periodi dell’esaltazione della ragione e della fiducia in essa nella convinzione che  potesse rappresentare l’unica via per giungere ad un conforto ontologico in seguito alla buia era medioevale, si configura il culto della ragione, nasce la convinzione che l’uomo possa costruirsi da sè grazie alle sue capacità razionali, possa essere il fabbro del suo destino (homo faber fortunae suae). Il concetto di utopia si presenta così come frutto della ragione umana: la scienza si assume prepotentemente, con le proprie forze, il potere di edificare una società perfetta. Un ulteriore ed ultimo aspetto analizzato ha riguardato la relazione fra tempo e mito/utopia: nel mito tradizionale non esiste l’idea di progresso, perché il tempo è circolare, a-cronologico, a-temporale. Nell’utopia il progresso esiste in quanto vi è una linea del tempo cronologicamente lineare, che ha un inizio e una fine, in cui i passi, che procedono dall’inizio alla fine, sono tutti passi d’incremento.
A conclusione delle proprie argomentazioni il professore ha chiuso con un interrogativo assai preoccupante: “Oggi si scrivono utopie?” La risposta ha ovviamente esito negativo. “Piuttosto oggi si formano distopie e si fonda una società di incubi. Perché oggi l’uomo non è capace di costruire utopie positive? Oggi non costruiamo più utopie positive perché non crediamo nelle capacità dell’uomo di determinare se stesso”.
Giovanni Cavallaro,5 I





Il termine utopia venne coniato da Tommaso Moro per battezzare un'immaginaria isola dotata di una società ideale, della quale descrisse il sistema politico nella sua opera "Utopia", pubblicata nel 1516.
Le utopie nascono quando si sta affermando, dopo il Rinascimento, l'età della ragione, e quando sono oramai in crisi tradizione mitica e millenarismo.
La funzione del mito è la reintegrazione di uno stato perduto e la sua conciliazione col presente, un ritorno alle origini. Nel medioevo al mito si accostava il millenarismo, ossia un movimento che il prof. Coniglione ha definito "la realizzazione del paradiso in terra , una condizione di pacificazione e rigenerazione dell'umanità che si riallacciasse all'origine". 
Ben diversa invece era la funzione dell'utopia dal Rinascimento in poi, la quale non si fondava sulla ricerca del paradiso o sul perfezionamento etico morale, ma sulla scienza e la conoscenza. L'uomo doveva dominare la natura e per poterla dominare deve prima conoscerla e comprenderla. L'utopista, grazie ad una applicazione razionale della conoscenza, può sanare i suoi mali ed accedere alle condizioni naturali di una società migliore. Gli utopisti mirano ad uno sviluppo illimitato della scienza, intesa ovviamente come conoscenza.
La funzione dell'utopia dunque si distacca dalla funzione di reintegrazione di uno stato perduto tipica del mito, proponendoci un modello ideale di società che possa servirci da orientamento.

Personalmente ho molto apprezzato l'intervento del professor Coniglione che ci ha esposto in modo chiaro il tema dell'utopia e le sue differenze da mito e millenarismo. 
Andrea Nicolosi, 5 I

mercoledì 21 dicembre 2016

l'albero della conoscenza luminosa


Il Buon Lettore aspetta le vacanze con impazienza. Ha rimandato alle settimane che passerà in una solitaria località marina o montana un certo numero di letture che gli stanno a cuore e già pregusta la gioia delle sieste all’ ombra, 
il fruscio delle pagine, 
l’abbandono al fascino d’altri mondi trasmesso dalle fitte righe dei capitoli.

(Italo Calvino, Mondo scritto e mondo non scritto)





Giada Piazza, Albero di Natale 2016 

Giada Piazza di 5 B ha preparato per questo  Natale un albero assai singolare, dedicato alle buone letture che, se è vero che ci fanno sempre buona compagnia, fanno sì che ciò accada ancora di più nelle feste.

Ringrazio Giada per avermi inviato la foto e dedico a tutti voi questa sorta di "albero della conoscenza luminosa", insieme al messaggio di Italo Calvino che , sempre Giada, mi ha inviato per accompagnare la bella immagine.


BUON NATALE di saggezza, luce, conoscenza🎅🎄


domenica 11 dicembre 2016

aut aut, ovvero la possibilità dell'esistere



Ciò che io sono è un nulla; questo procura a me e al mio genio la soddisfazione di conservare la mia esistenza al punto zero, tra il freddo e il caldo, tra bene e male, tra la saggezza e la stupidaggine, tra qualche cosa e il nulla come un semplice forse. Paradossale è la condizione umana. 

Esistere significa «poter scegliere»; anzi, essere possibilità. Ma ciò non costituisce la ricchezza, bensí la miseria dell'uomo. La sua libertà di scelta non rappresenta la sua grandezza, ma il suo permanente dramma. Infatti egli si trova sempre di fronte all'alternativa di una «possibilità che sí» e di una «possibilità che no» senza possedere alcun criterio di scelta. 


E brancola nel buio, in una posizione instabile, nella permanente indecisione, senza riuscire ad orientare la propria vita, intenzionalmente, in un senso o nell'altro.

da Aut Aut, Kierkegaard





venerdì 9 dicembre 2016

la profezia di Pier Paolo Pasolini


Al rientro dalla prima giornata del convegno di studi 

ancora in corso a Linguaglossa, in attesa di procedere con analisi e riflessioni attraverso gli spunti che i relatori ci hanno offerto

dedichiamo questo post a 


Risultati immagini per pasolini
Pier Paolo Pasolini 
poeta, scrittore e regista italiano, 1922-1975

Pier Paolo Pasolini nasce a Bologna da Carlo Alberto, ufficiale di fanteria, e da Susanna Colussi, maestra elementare. Trascorre l'infanzia in continui spostamenti in varie località del nord Italia rimanendo però sempre radicato alla città materna: Casarsa del Friuli. Nel 1944 pubblica il primo di due quaderni dal titolo Stoligut di cà de l'aga, e l'anno dopo si laurea con una tesi sul Pascoli. Nello stesso anno pubblica le prime raccolte di versi in italiano. Dopo un breve periodo i insegnamento concluso con un processo per corruzione omosessuale, si trasferisce a Roma con la madre e entra in contatto con vari scrittori, tra cui Giorgio Bassani e Carlo Emilio Gadda. Nel 1954 si accosta al cinema scrivendo la sceneggiatura per La donna del fiume di Mario Soldati. L'anno dopo viene pubblicato il suo primo romanzo: Ragazzi di vita. Escono poi negli anni le raccolte di poesie Le ceneri di Gramsci (1957), La religione del mio tempo (1961) e Poesia in forma di rosa(1964). Il primo film che gira è Accattone (1961), a cui seguono MedeaTeoremaDecameron e, ultimo nel 1975, Salò o le 120 giornate di Sodoma.

All'alba del 2 novembre 1975, Pasolini è trovato ucciso in uno spiazzo sabbioso nei pressi di Fiumicino, su uno sfondo di baracche e rifiuti. Il giorno prima ha appena rilasciato la sua ultima intervista per Tuttolibri a Furio Colombo, in cui già presagisce la sua morte.
Personaggio scomodo, Pasolini è un profeta contro l'omologazione. Nel sessantotto prende le difesa dei poliziotti a Villa Giulia, lancia tesi "scandalose" quali l'abolizione della scuola e della televisione degenerata, si schiera contro l'aborto.

«Scrittore vero, capace di ascoltare il suo tempo, di coglierne l'essenza più profonda e nascosta» 
così conclude Curzio Maltese in Pasolini, uno sconosciuto morto trent'anni fa su Venerdì di Repubblica


«Il suo dramma è stata la solitaria capacità di guardare quello che agli altri scivolava sotto gli occhi, di dover assistere alla scomparsa di un mondo e di un popolo non più necessari al gelido calcolo della produzione. Una grandezza e una ricchezza perduta per sempre...»






Profezia


di Pier Paolo Pasolini


A Jean Paul Sartre, che mi ha raccontato

la storia di Alì dagli Occhi Azzurri.




                                  Alì dagli Occhi Azzurri
                                  uno dei tanti figli di figli,
                                  scenderà da Algeri, su navi
                                  a vela e a remi. Saranno
                                  con lui migliaia di uomini
                                  coi corpicini e gli occhi
                                  di poveri cani dei padri
sulle barche varate nei Regni della Fame. Porteranno con sé i bambini,
e il pane e il formaggio, nelle carte gialle del Lunedì di Pasqua.
Porteranno le nonne e gli asini, sulle triremi rubate ai porti coloniali.

                                  Sbarcheranno a Crotone o a Palmi,
                                  a milioni, vestiti di stracci,
                                  asiatici, e di camice americane.
                                  Subito i Calabresi diranno,
                                  come malandrini a malandrini:
                                 "Ecco i vecchi fratelli,
                                  coi figli e il pane e formaggio!"
                                  Da Crotone o Palmi saliranno
                                  a Napoli, e da lì a Barcellona,
                                  a Salonicco e a Marsiglia,
                                  nelle Città della Malavita.
                                  Anime e angeli, topi e pidocchi,
                                  col germe della Storia Antica,
                                  voleranno davanti alle willaye.


                                  Essi sempre umili 
                                  Essi sempre deboli 
                                  essi sempre timidi 
                                  essi sempre infimi 
                                  essi sempre colpevoli 
                                  essi sempre sudditi 
                                  essi sempre piccoli, 
essi che non vollero mai sapere, essi che ebbero occhi solo per implo-    rare, 
essi che vissero come assassini sotto terra, essi che vissero come banditi 
in fondo al mare, essi che vissero come pazzi in mezzo al cielo, 
                                 essi che si costruirono 
                                 leggi fuori dalla legge, 
                                 essi che si adattarono 
                                 a un mondo sotto il mondo 
                                 essi che credettero 
                                 in un Dio servo di Dio, 
                                 essi che cantavano 
                                 ai massacri dei re, 
                                 essi che ballavano 
                                 alle guerre borghesi, 
                                 essi che pregavano 
                                 alle lotte operaie...



                            ... deponendo l'onestà 
                                delle religioni contadine, 
                                dimenticando l'onore 
                                della malavita, 
                                tradendo il candore 
                                dei popoli barbari, 
                                dietro ai loro Alì 
dagli occhi azzurri - usciranno da sotto la terra per uccidere —
usciranno dal fondo del mare per aggredire — scenderanno 
dall'alto del cielo per derubare — e prima di giungere a Parigi 
                                per insegnare la gioia di vivere, 
                                prima di giungere a Londra 
                                per insegnare ad essere liberi, 
                                prima di giungere a New York, 
                                per insegnare come si è fratelli 
                                — distruggeranno Roma 
                                e sulle sue rovine 
                                deporranno il germe 
                                della Storia Antica. 
                                Poi col Papa e ogni sacramento 
                                andranno su come zingari 
                                verso nord-ovest 
                                con le bandiere rosse 
                                di Trotzky al vento...

                         
                                da Il libro delle croci, 1964



Versi di incredibile attualità che anticipano la storia dell'immigrazione quando da noi si pensava solo ad emigrare, a lasciare l'Italia in cerca di fortuna.

Pasolini riusciva a guardare oltre, e il Mediterraneo gli consegnava un destino, quello dei più deboli, dei miseri in cerca di una casa, di una speranza di vita. 

“Essi” insegnano “ai compagni operai la gioia della vita”, “ai borghesi la gioia della libertà”, “ai cristiani la gioia della morte”. Il finale unisce il “dolce Papa dal misterioso paterno testone campagnolo” e Trotzky, il bolscevico “industrialista”, ma anche simbolo dell’eresia. 

Questa profezia ricorda il titolo famoso che Carlo Levi ha dato ad un suo libro di viaggio in Urss, Il futuro ha un cuore antico, ma accomuna Pasolini in modo sorprendente anche ad un altro grande pensatore marxista eretico, Walter Benjamin

Da origini e da sponde completamente diverse, il pensiero di Benjamin era giunto a due tesi, intorno alle quali ruota il suo pensiero:

 non c’è rivoluzione senza un “nucleo ardente teologico” e, rovesciando il “prospettivismo” marxista-leninista, “il compito principale della rivoluzione comunista consiste nella liberazione del passato”


giovedì 8 dicembre 2016

il naturalismo italiano



"E’ dunque l’universo uno, infinito, immobile. …è però infinibile e interminabile, e per tanto infinito e interminato, e per conseguenza inmobile. Questo non si muove localmente, perché non ha cosa fuor di sé ove si trasporte, atteso che si il tutto. Non si genera; perché non è altro essere, che lui possa desiderare o aspettare, atteso che abbia tutto lo essere. Non si corrompe; perché non è altra cosa in cui si cangie, atteso che lui sia ogni cosa. Non si può sminuire o crescere, atteso che è infinito; a cui come non si può aggiongere, cossì è da cui non si può suttrarre, per ciò che lo infinito non ha parti proporzionabili. Non è alterabile in altra disposizione, perché non ha esterno da cui patisca e per cui venga di qualche afezione. Oltre che, per comprender tutte contrarietadi nell’esser suo in unità e convenienza, e nessuna inclinazione posser avere ad altro e novo essere, o pur ad altro ed altro modo d’essere, non può esser soggetto di mutazione secondo qualità alcuna, né può aver contrario o diverso che lo alteri, perché in lui ogni cosa è concorde."
da Giordano Bruno, De la causa, principio e Uno



mappa di Alessia Guarrera, 4 C

domenica 13 novembre 2016

vivere, ovvero "essere per la morte"


post di Andrea Filogamo
classe 4 H

La morte: l’opposto della  vita; un alcunché che la maggior parte del genere umano non si aspetta ma che improvvisamente, in un batter di ciglia, in una infinitesima parte di secondo può arrivare a negare la nostra permanenza in questo mondo dove fato e tempo, come dittatori incontrastabili, impongono le loro leggi.
La morte, la cessazione, la perdita. Questi termini sono dei sinonimi che, per essere tali, devono avere delle analogie dal punto di vista significativo. Fermo restando che ognuno vive il problema della morte secondo la propria individualità e formazione, il secondo ed il terzo termine sono soltanto delle caratteristiche del primo.

Analizzando l’etimologia della parola morte, vediamo che essa deriva dal latino mors, che ricorda molto la parola italiana morso. Potremmo interpretare tutto ciò dicendo la morte è, metaforicamente, un morso che colpisce la nostra sensibilità e ci priva di qualcosa di cui naturalmente prima eravamo proprietari. Ma che significa essere proprietari della propria vita e cosa significa che la morte è ciò che ci priva di essa?

Secondo uno dei maggiori filosofi dell’età ellenistica, ovvero Epicuro, l’uomo non deve avere paura della morte poiché quando la morte c’è noi non ci siamo, quindi è uno stato che non ci riguarda. Oserei  però definire, per certi versi, sbagliata la tesi postulata da Epicuro. L’errore commesso dal filosofo sta nel definire che la morte non riguarda noi, non ci tange in alcun modo, poiché essa è qualcosa che riguarda ciò che eravamo prima che essa sopravvenisse. Dicendo ciò, però, egli riduce la nostra persona ad un essere che vive solamente nel presente e a cui ciò che accadrà dopo non gli appartiene. Ma tutto ciò, a parer mio, è sbagliato poiché cosi ragionando omettiamo una delle principali capacità dell’uomo, ovvero quella della pianificazione.
Quando noi, partendo da cose anche molti semplici che riguardano la nostra routine quotidiana, iniziamo la giornata cercando di portare a termine quelle azioni che abbiamo in progetto di fare, stiamo appunto pianificando qualcosa. Ma come mai pianificare è così importante per l’uomo e che collegamento ha ciò con la morte ?

Pianificare per l’uomo significa voler compiere delle specifiche azioni , qualcosa che sicuramente avverrà nel futuro. Tuttavia le attività che compie l’uomo nel presente sono in funzione di quelle future e queste ultime potrebbero anche definirsi “connaturate” al nostro essere contemporaneo, anche se effettivamente sono strettamente legate al futuro. Alla luce di quanto detto, l’uomo conduce la sua vita progettando le attività che si accingerà a compiere e cercando di realizzarle. La morte è invece l’esatto opposto della vita poiché è la cessazione di questo continuo afflato verso il futuro e segna dunque la perdita di ciò che volevamo fare. 

Io penso che l’uomo debba avere paura della morte, debba avere una folle paura di perdere tutto ciò che gli appartiene, deve temere di rinunciare a tutto quello che ha di più importante. Se non si avesse paura della morte, in qualche modo, si svaluterebbe anche l’importanza della vita stessa, si vivrebbe alla “giornata”, sperando di non morire, ma non preoccupandosi della morte stessa.
Epicuro rimuovendo la paura della morte, dava una soluzione per vivere felici ma anche questa affermazione a mio parere risulta errata.

Un’altra parola che, in conclusione, si può ricollegare alla morte è: Limite. Come descritto in precedenza, la morte è la cessazione, è la perdita di tutto, è ciò che blocca la nostra vita, è il limite di essa stessa. Noi esseri umani, immersi in un mondo in continuo divenire, abbiamo paura di essere limitati, perché l’essere totalmente immobili non inerisce  alla nostra natura. 

Ma l’angoscia della morte e il non voler raggiungere il limite di tutto possono essere  trasformati in energia positiva, nel nostro motore vitale, in ciò che ci spinge a compiere tutto ciò che vogliamo concretizzare, perché fortunatamente non avremo l’eternità per farlo.


Quindi, non è forse la paura che riesce a farci vivere con un marcia in più e a  renderci realmente felici di vivere il tempo che ci è rimasto?