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domenica 28 giugno 2015

David Grossman: shalom, do you ear me?







«Shalom, do you ear me?» 

così esordisce David Grossman a Taormina il 23 giugno scorso, , con semplice e diretto sentimento cosmopolita, usando una lingua ibrida ha subito abbattuto uno dei muri che sono il tema cardine di questa anteprima di Taobuk, festival delle belle lettere diretto da Antonella Ferrara.
Con un sorriso mite ringrazia e si dice onorato di essere in una città così piena di cultura, memoria e letteratura da sentirsi a casa. Nonostante le restrizione poste prima di questo incontro con il pubblico a evitare domande politiche, in realtà Grossman si dona per un'ora un pubblico numerosissimo spaziando su argomenti diversi, dalla situazione israeliano palestinese, al ruolo dell'umorismo nella società, alla cultura mediterranea e alla possibilità di pace in medio oriente.
Con cura e attenzione risponde alle domande che gli pone il giornalista Franco Di Mare che insieme alla Ferrara modera l'inontro. «Da venti anni avevo l'idea di scrivere la storia di un bambino che andava al funerale di uno dei suoi genitori senza sapere se avesse perso il padre o la madre» racconta Grossman svelando il cuore del suo ultimo romanzo "Applausi a scena vuota" edito da Mondadori. Continua: «Ho sentito una storia simile dall'esperienza personale di un mio amico, e così sono stato a pensare per 20 anni a questa crudele esperienza. Ma non trovavo mai il modo giusto per raccontarla. Il "come" è la cosa più importante per uno scrittore. Poi un giorno mi è venuta l'idea di usare il dispositivo comico, il mix perfetto fra horror e risata: il cabaret».


 E raccontando del comico che è il protagonista del romanzo, Grossman ha l'occasione di spiegare al pubblico taorminese la violenza e l'aggressività della sfera pubblica in Israele. «Non so in Italia» dice- «Ma in Israele non abbiamo più la pazienza o il coraggio di guardare dentro le ferite aperte quando la vediamo. Tutto può essere ridicolizzato, anche il dibattito pubblico sembra assomigliare a uno spettacolo satirico. Penso che fra l'Italia e Israele sia una bella gara a chi ha i politici più comici».
Per Grossman l'umorismo è essenziale in un momento di crisi grave e profonda come quella che il mondo sta affrontando in questo periodo, è l'unico modo per non essere vittime della volgarità e della sopraffazione. «Non abbiamo scelta. Prendere il lato buffo è un modo per sopravvivere. Il mio personaggio fa ironia della shoah, solo un ebreo ha questo diritto, lo fa non per ridicolizzare, ma è una vita che lui e i suoi genitori sono schiacciati dal peso di questa vicenda storica, è l'unica maniera per respirare è riderci sopra» racconta. Nel libro si dice che quelli di sinistra non ridono mai, Grossman ci tiene a ricordare come non sia vero e come si tratti di pura e semplice propaganda di destra, presentare gli altri come aridi, razionali e intellettualoidi. Il suo ultimo libro racconta di un cabarettista ed  è pieno di barzellette e da quando è stato pubblicato in Israele i lettori gliene mandano di nuove pregandolo di inserirle nell'edizione successiva «E' una cosa molto dolce. Ma in questo libro ogni barzelletta ha un senso preciso. Risata e immaginazione sono indizi di libertà e io sento che quanto più la situazione che vivo è soffocante, tanto più ho bisogno della fantasia. L'immaginazione è un organo astratto dell'essere umano, un posto dentro di noi che non può essere soggiogato. Il solo fatto di saper immaginare un futuro diverso è il seme del cambiamento».
Dalla parola cambiamento, alla questione fra Israele e Palestina il passo è breve, Grossman racconta come i due popoli vivano una vita parallela rispetto a quella che meriterebbero di vivere. «Israele e Palestina pensano che la parola pace sia diventata una trappola, roba per sognatori. L'altro è solo colui da combattere. Noi, scrittori e non, abbiamo l'obbligo morale di tenere la porta e la mente aperta alla pace. C'è un altro modo di vivere che ci sta aspettando. Dipende molto dal coraggio dei nostri leader, io so che è così. Ma oggi siamo arrivati al dunque, all'ultima possibilità, siamo in presenza dell'ultima chance per l'Unione Europea e per gli Stati Uniti perché Israele e Palestina riprendano a parlarsi» dice.
E invoca la cultura mediterranea, quella che stiamo perdendo abdicando a una uniformante occidentalizzazione, ma che tanto avrebbe da insegnarci in termini di dolcezza, tolleranza e pazienza. 

E alla fine conclude ricordando: «L'unico obbligo di uno scrittore è raccontare una buona storia», e il pubblico applaude alla buona Storia.



Sull'incontro ci sarebbero tante altre cose da dire ma è compito arduo per le forti emozioni che la personalità di Grossman riesce a scatenare. Siamo usciti dalla sala con la sensazione di avere avuto una occasione straordinaria, una sorta di raro privilegio. Perchè Grossman non usa solo parole, comunica col cuore e lo sguardo e ciascuno trova un posto speciale davanti a lui. 

Entri nella storia dalla porta della letteratura, ed  attraversi entrambe. 
Dopo, capisci meglio il territorio che hai calpestato e ne conservi dentro traccia per nuova speranza

martedì 16 giugno 2015

dall'appello UDI





 “Io in quanto donna non ho patria. 
In quanto donna, la mia patria è il mondo intero”[1].



Siamo con le donne e gli uomini che, singolarmente o in luoghi e associazioni, condividono la necessità di agire per salvare vite umane.
La crescita esponenziale delle guerre sul pianeta dipende da una dissennata politica delle risorse che si fonda sulla non dichiarata decisione di selezionare le vite destinate a fruire del territorio, dell’acqua, dell’aria e della libertà di abitare quest’unica terra che abbiamo a disposizione.


Migranti sono donne e uomini, ma non possiamo dimenticare che, come ognuno/a di noi, sono prima di tutto figlie e figli, nate e nati da un corpo femminile che si fa materno. Che accada per scelta o evento, desiderio o costrizione, il lavoro del diventare madre è a favore della vita perché questa possa compiersi dentro tutto il tempo possibile.

Nessuna/o viene messa/o al mondo per essere preda dei mercanti di morte. 

La condizione umana è già soggetta a malattie, catastrofi, dolore e appare davvero dissennato il fatto che alcuni si dedichino ad aggravare questa condizione che dovrebbe invece unirci insieme per renderla più sopportabile.

Mentre sappiamo che le parole libertà, uguaglianza, responsabilità richiedono un nuovo e più profondo e onesto confronto sociale, sul senso del diritto la qualità della giustizia l’intera esistenza umana, sentiamo che prima di tutto le vite vanno salvate perché sono la nostra comune autentica ricchezza.

Su questo principio non possono esserci tentennamenti e nessuno può mettere condizioni che non siano finalizzate al benessere di tutte e tutti.(...)

Confrontarci con l’emergenza migratoria, che spinge donne e uomini a fuggire guerre penuria e morte verso l’Europa, significa confrontarci con la nostra fragile democrazia: non possiamo salvarla se alziamo barriere che, con il pretesto di proteggere, ci imprigionano nelle oscure fortezze delle nostre paure.

Riprendiamo le parole di Virginia Woolf perché non è con qualche garanzia di pari eredità, con qualche piccolo privilegio da parvenu che il potere patriarcale può conquistare il nostro sostegno al nazionalismo xenofobo e razzista che ha già devastato l’Europa nei secoli passati.
Noi donne siamo state troppo a lungo straniere senza diritti, dentro le nostre stesse case, per non capire il legame profondo tra gli attacchi alla nostra autodeterminazione nelle scelte procreative e di vita, il rinascente sessismo omofobo e il rilancio di arroccamenti identitari affermati con la violenza.

I governi facciano la loro parte perché la parola Europa diventi quella speranza evocata nel buio profondo della guerra come casa comune e accogliente, luogo di libera costruzione del futuro e possibilità di pace.

In questa speranza è riposto il frammento della nostra storia migliore, l’unica nella quale possiamo riconoscerci senza vergogna.


Rosangela Pesenti
UDI. Unione Donne in Italia


[1] Virginia Woolf, Le tre ghinee, La Tartaruga, Milano 1975, La Feltrinelli, Milano 1979, 1987 p. 148

giovedì 11 giugno 2015

David Grossman a Taormina



Incontro con David Grossman il prossimo martedì 23 giugno, ore 19,00
Ingresso libero al San Domenico di Taormina


David Grossman è un attivista e sostenitore della sinistra israeliana, in particolare del Partito Laburista, dai tempi di Yitzhak Rabin, ed è un critico della politica governativa nei confronti dei palestinesi di Gaza e Cisgiordania. Queste posizioni gli attirano da sempre le critiche e le ostilità della destra.

Come gran parte degli israeliani, Grossman ha però sostenuto Israele durante la guerra israelo-libanese del 2006, condotta contro le milizie del partito islamico Hezbollah, ma il 10 agosto 2006, insieme agli autori Amos Oz e Abraham Yehoshua, ha parlato durante una conferenza stampa chiedendo al governo di trovare un accordo per un cessate il fuoco come base per negoziati che portassero a una soluzione concordata, definendo ulteriori azioni militari come "pericolose e controproducenti" ed esprimendo preoccupazione per il governo libanese.
Due giorni dopo, suo figlio Uri, di 20 anni, militare di leva nella guerra in questione, è stato ucciso da un missile anticarro durante un'operazione delle Forze di Difesa Israeliane nel sud del Libano volta a massimizzare quanto ottenuto contro Hezbollah poco prima del cessate il fuoco imposto dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite L'impegno di Grossman in favore della pace e del dialogo con arabi e musulmani è di conseguenza aumentato durante gli anni recenti.



I mezzi di comunicazione di massa pongono il singolo in primo piano, lo consacrano persino, incanalandolo sempre più verso se stesso. Anzi, in fin dei conti, esclusivamente verso se stesso: verso i suoi bisogni, i suoi interessi, le sue aspirazioni, le sue passioni. In mille modi, palesi o nascosti, liberano l'individuo da ciò di cui lui è in ogni caso ansioso di liberarsi: la responsabilità verso gli altri per le conseguenze delle sue azioni. E nel momento in cui lo fanno ottenebrano la sua coscienza politica, sociale e morale, lo trasformano in un materiale docile alle manipolazioni da parte di chi controlla i mezzi di comunicazione e di altri. In altre parole lo trasformano in massa. 
 
 David Grossman, da Raccontare una storia per salvare gli uomini



Myriam,
tu non mi conosci e, quando ti scrivo, sembra anche a me di non conoscermi. A dire il vero ho cercato di non scrivere, sono già due giorni che ci provo, ma adesso mi sono arreso.
Ti ho vista l'altro ieri al raduno del liceo. Tu non mi hai notato, stavo in disparte, forse non potevi vedermi. Qualcuno ha pronunciato il tuo nome e alcuni ragazzi ti hanno chiamato "professoressa". Eri con un uomo alto, probabilmente tuo marito. È tutto quello che so di te, ed è forse già troppo. Non spaventarti, non voglio incontrarti e interferire nella tua vita. Vorrei piuttosto che tu accettassi di ricevere delle lettere da me....

David Grossman, Che tu sia per me il coltello, incipit


scrittore ed uomo straordinario

in assoluto tra i miei preferiti

andiamo in gruppo all'incontro?
 

martedì 9 giugno 2015

Ogni caso – Wisława Szymborska


 
per ricordarci che abbiamo responsabilità per noi e per gli altri, che dobbiamo essere vigili e attenti, che dobbiamo aiutare sempre chi ha bisogno di aiuto, 
 
i versi di una grande poetessa
che si chiudono con due cuori che battono insieme




Doveva accadere.
È accaduto prima. Dopo.
Più vicino. Più lontano.
È accaduto non a te.
Ti sei salvato perché eri il primo.
Ti sei salvato perché eri l’ultimo.
Perché da solo. Perché la gente.
Perché a sinistra. Perché a destra.
Perché la pioggia. Perché un’ombra.
Perché splendeva il sole.
Per fortuna là c’era un bosco.
Per fortuna non c’erano alberi.
Per fortuna una rotaia, un gancio, una trave, un freno,
un telaio, una curva, un millimetro, un secondo.
Per fortuna sull’acqua galleggiava un rasoio.
In seguito a, poiché, eppure, malgrado.
Che sarebbe accaduto se una mano, una gamba,
a un passo, a un pelo
da una coincidenza.
Dunque ci sei? Dritto dall’attimo ancora socchiuso?
La rete aveva solo un buco, e tu proprio da lì?
Non c’è fine al mio stupore, al mio tacerlo.
Ascolta
come mi batte forte il tuo cuore.


Da questa poesia di Wislawa Szymborska, Benedetta Tobagi ha preso il titolo “Ascolta come mi batte forte il tuo cuore” del suo bel libro, pubblicato da Einaudi, che racconta la vita di Walter Tobagi, suo padre, giornalista del “Corriere della sera” e vittima del terrorismo.


un commento:
Questa poesia vale tutti i bivi, fortuiti o decisi, i capitomboli e le giravolte del destino, gli stupori e le amarezze, spiega le infinite combinazioni imprevedibili e casuali che la vita ci riserva. Dá voce al mistero che la nostra volontà non sa né può spiegare, se non affidando alla fede od alla divina Provvidenza gli imprevisti positivi o catastrofici in cui tutti inciampiamo. Interpreta l'occasione mancata, la fortunata combinazione di eventi, i millimetri che fanno la differenza tra la vita e la morte, spesso nella nostra assoluta inconsapevolezza ed impotenza. Briciole di fronte al caso, Dei nell'illusione di giocare una buona partita grazie alla nostra abilità, tentiamo schemi rassicuranti, ci accoccoliamo nell'idea che se qualcosa ci va dritta è soprattutto grazie alla nostra volontà, parziale verità che non può negare l'imprevedibile, né basta a dirci bravi, salvi, sfortunati.

Perché a me? Ed io ho imparato a capovolgere la domanda: perché a lui, lei? Attraverso il caso, la sottile linea tra sommersi e salvati e mi domando spesso: perché a me è toccata la salvezza ed al compagno di viaggio avverso la fine di ogni speranza? Non è questione di merito, non di volontà, ogni caso, vale per ciascuno, indistintamente e democraticamente, secondo la legge dei grandi e piccoli numeri, quella secondo la quale è probabile che o é rarissimo che. Io mi son trovata spesso nelle code di una campana, dove si calcolano gli eventi impossibili ed è questa poesia a dare un senso logico a quel che logico non è.

 Manuela Terrana