logo

logo

lunedì 28 settembre 2015

il logos e l'unità



"Per quanto tu possa camminare, e neppure percorrendo intera la via, tu potresti mai trovare i confini dell'anima: così profondo è il suo lógos". 
(Eraclito, fr. 45 Diels-Kranz)



Di questo lógos che è sempre gli uomini non hanno intelligenza, sia prima di averlo ascoltato sia subito dopo averlo ascoltato; benché infatti tutte le cose accadano secondo lo stesso lógos, essi assomigliano a persone inesperte, pur provandosi in parole ed in opere tali quali sono quelle che io spiego, distinguendo secondo natura ciascuna cosa e dicendo com'è. Ma agli altri uomini rimane celato ciò che fanno da svegli, allo stesso modo che non sono coscienti di ciò che fanno dormendo. (fr. 1)

Ma questo lógos che è, gli uomini non lo comprendono mai, né prima di porgervi orecchio, né dopo averlo ascoltato. Anche se tutte le cose sorgono secondo esso, somigliano a coloro che non hanno esperienza, quando sperimentano parole e opere quali vado esponendo, io che distinguo ogni cosa secondo la sua origine, e la manifesto come è. Ma gli altri uomini non si accorgono delle cose che fanno da svegli, così come dimenticano quello che fanno dormendo. (fr. 70: A. Tonelli)


Ascoltando non me, ma il lógos, è saggio convenire che tutto è uno. (fr. 50)

Per chi ascolta non me, ma il lógos, sapienza è intuire che tutte le cose sono Uno, e l'Uno è tutte le cose. (fr. 69: A. Tonelli)

Eraclito – olio su tavola (1628)
Hendrick Terbrugghen (Deventer 1588 - Utrecht 1629)
Amsterdam - Rijksmuseum


Ad ogni uomo è concesso conoscere se stesso ed essere saggio. (fr. 116)

« Polemos è padre di tutte le cose, di tutte re; e gli uni disvela come dèi e gli altri come uomini, gli uni fa schiavi gli altri liberi. » fr. 53

L'Origine ama nascondersi. (fr. 116: A. Tonelli)
φύσις κρύπτεσθαι φιλεῖ

Una e la stessa è la via all'in sù e la via all'in giù. (fr. 60)

« La divinità è giorno-notte, inverno-estate, guerra-pace, sazietà-fame. Ed essa muta come il Fuoco. »
(Frammento 67)


martedì 15 settembre 2015

memorie di una ragazza perbene


post di Margherita Costanzo, 5 E

Leggere una biografia non è facile poiché ci si sente spettatori di un tempo alterato che l’autore chiama vita, colmo di emozioni condensate che sintetizzano interi periodi composti da piccoli momenti che all’esterno non vengono percepiti. 
Simone de Beauvoir riesce nell’intento di trasmettere le gioie così come le tristezze di un periodo delicato e fragile quale la prima giovinezza, tempestata di incertezze, soggetta al cambiamento e ai contrasti, interni e non. Primogenita di una famiglia borghese Simone vive un’infanzia fortemente influenzata dalla presenza dei genitori e delle loro idee, legata alla religione e rispettosa di ogni suo dettame. Affronta con disagio la scelta per il suo futuro; mai quanto oggi questo argomento tocca noi giovani, impauriti da un avvenire incerto e dal timore di non essere “tagliati” per il mondo davanti a noi.

 “Portavo già in anticipo il lutto del mio passato”.

Ciò che caratterizza la scrittrice e filosofa fin dalla giovane  età è la profonda devozione che manifesta nei confronti dell’amore e dell’amicizia, i due sentimenti che difenderà a denti stretti nonostante i tormentati stati d’animo dai quali si vedrà investita. La lettura diventa fin da subito la sua più grande passione, che le permetterà di scoprire parti del suo carattere e dei suoi pensieri intrappolate nelle parole di altri autori, l’immedesimazione necessaria a farla sentire compresa e soprattutto spazzare via la solitudine.
È fondamentale il sentimento che prova il lettore nel lasciarsi trasportare dalle forti emozioni dell’autrice, dai primi contrasti con i genitori, al disagio nel cambiamento fisico a cui Simone (come noi tutti) è sottoposta nel periodo adolescenziale. 
Si soffre con lei all’inizio dell’incertezza della sua fede, quando vede cedere i dogmi presenti nella sua vita fin dalla nascita e si gioisce nel sentimento di libertà che ne segue. L’amicizia con Zazà la porterà inizialmente ad assaporare il sentimento della devozione e soffrire per gli alti e i bassi che l’amica le concederà ma in seguito questo rapporto diventerà fondamentale per Simone, fino alla prematura scomparsa dell’amica.

Il sentimento preponderante durante la post adolescenza è l’inadeguatezza, nelle relazioni con i coetanei, che vede distanti e dalle idee eccessivamente legate alla materialità, e nei confronti dell’amore. Ciò la porterà a giustificare il suo primo amore, il cugino Jacques, per l’incostanza del suo sentimento e a compiangerlo per il triste destino. 
Come non immedesimarsi nel dolore di una giovane ragazza che vede rifiutato e maltrattato il proprio amore, così sincero e voglioso solo di manifestarsi ?
La passione per la filosofia e per lo studio hanno per la giovane il compito di riempirle totalmente la vita, vista l’assordante assenza dell’amore.
L’incontro con Sartre è trattato in modo marginale nonostante si avverta la pienezza del loro rapporto e la complementarietà delle loro anime.


Libro pieno di emozione e sentimento, incarna perfettamente l’evoluzione che si subisce nel passaggio da bambina a donna, un periodo acceso nel quale ogni piccola sensazione ha il peso di un macigno per il cuore di una giovane ragazza.

domenica 13 settembre 2015

Eva Mascolino vince il Campiello giovani 2015



Il Premio Campiello Giovani 2015 è stato vinto ieri da Eva Luna Mascolino, ventenne di Catania e figlia della collega Pia Vacante, autrice del racconto Je suis Charlie

Ilvo Diamanti, presidente della Giuria dei Letterati, ha fornito la seguente motivazione per il riconoscimento:
Dimostrando una non comune consapevolezza di alcune fondamentali questioni della storia presente, dà prova di una rara capacità di tener sotto controllo la propria materia: una vicenda che, pur connessa a un tragico recente episodio (la strage dei giornalisti parigini), lo lascia ai margini perché al centro scorrono gli strani casi di un protagonista “senza qualità” né vocazione. Le scelte di costui non paiono dettate da necessità; né il partirsene da Parigi per confinarsi in una cittadina della Sicilia risponde a una protesta morale o ad altra nobile causa. Ma l’apparentemente gratuito gesto conclusivo restituisce al personaggio quella coscienza che sembrava smarrita o nascosta nelle pieghe della trama.
In Je suis Charlie (che quando è stato selezionato per la cinquina finalista è stato definito postmoderno) Eva Luna Mascolino racconta la storia, a più voci, della crisi di un vignettista di Charlie Hebdo, che non riesce più a percepire la bellezza, neanche quella di Parigi, dove vive, e capisce di doversene andare per cercare di recuperare il senso ultimo delle cose. 

Si trasferisce quindi in un paesino della Sicilia dove affitta una camera e vive in compagnia del suo gatto. Quando rientra a Parigi preferisce non dare notizie di sé al giornale per godersi il ritorno, ma viene presto informato dell’attacco di tre uomini armati presso la sede della rivista. Vinto dal senso di colpa di non essere stato con i suoi colleghi e non aver pagato come loro il prezzo della satira pubblicata, il vignettista decide qualche sera dopo di togliersi la vita.



Ad Eva i nostri più cari auguri per il brillante traguardo raggiunto, 
conferma di un talento naturale coltivato con accortezza e cura,
nella prospettiva di un luminoso avvenire nella scrittura e nella comunicazione

lettere partigiane

post di Claudio Sgroi 5E



Lettere dei condannati a morte della Resistenza Italiana è un’opera che raccoglie le ultime lettere di partigiani, deportati politici, militari del corpo di Liberazione Italiano e resistenti civili, condannati a morte durante la Resistenza. La lotta partigiana in Italia fu caratterizzata dall’impegno unitario di tutto il fronte delle opposizioni che il fascismo con la violenza e la persecuzione aveva tentato di stroncare in ogni modo. Le bande partigiane diedero vita alla Resistenza armata contro l’occupazione nazista e contro il collaborazionismo fascista ed è per questo che fu contemporaneamente una Guerra Civile e una Guerra di Liberazione contro lo straniero. Comunisti, liberali, socialisti, cattolici, anarchici precedentemente in contrasto,  collaborarono ed entrarono in simbiosi per raggiungere il comune obiettivo della democrazia e della libertà.

Nell’opera sono riportate per ogni caduto, oltre che gli ultimi pensieri e gli stati d’animo, anche notizie essenziali sulla vita e sulle circostanze della morte. Cosa non da poco perché durante la lettura sembra quasi di entrare in ogni singola storia, in ogni singola famiglia e a mio avviso in molte lettere l’immedesimazione è tale che sembra quasi di entrare nell’anima dei condannati a morte e di vivere quel momento di persona. Una volta lette le prime lettere, nasce subito quel sentimento di rispetto nei confronti dei  compatrioti che hanno dato la vita per la Tua libertà e per questo ogni singola lettera viene letta con la stessa lucidità e con lo stesso rispetto. Sfogliando le pagine salta subito agli occhi che tra i condannati a morte sono molti i giovani e questa cosa lascia molto spazio alla riflessione e al confronto perché nella società di oggi, ormai povera di  valori e di principi morali, quanti sarebbero i giovani che nella stessa situazione avrebbero preferito morire per amore della propria patria e della libertà ?

Leggendo il libro sono stato colpito da grande stupore nel trovare numerose lettere scritte da Partigiane; si esattamente, non è un errore di battitura. Perché, nella Resistenza Italiana le donne rappresentarono una componente fondamentale per il movimento partigiano nella lotta contro il nazifascismo. Esse infatti ricoprirono ruoli di primari importanza, quali il recupero dei beni di massima necessità per i compagni, propaganda antifascista, assistenza ai detenuti politici e in molti casi anche vere e proprie operazioni militari, dimostrando così un grande coraggio e portando un forte supporto morale all’interno dei gruppi partigiani. Riporto sotto la lettera della caduta Irma Marchiani. Questa lettera è stata quella che mi ha colpito di più per la grande forza di volontà che questa donna trasmette, forza di volontà che sembra quasi contagiarti.

Irma Marchiani

Di anni 33 - casalinga - nata a Firenze il 6 febbraio 1911 -. Nei primi mesi del 1944 è informatrice e staffetta di gruppi partigiani formatisi sull'Appennino modenese - nella primavera dello stesso anno entra a far parte del Battaglione " Matteotti ", Brigata " Roveda ", Divisione "Modena" - partecipa ai combattimenti di Montefiorino - catturata mentre tenta di far ricoverare in ospedale un partigiano ferito, è seviziata, tradotta nel campo di concentramento di Corticelli (Bologna), condannata a morte, poi alla deportazione in Germania - riesce a fuggire - rientra nella sua formazione di cui è nominata commissario, poi vice-comandante - infermiera, propagandista e combattente, è fra i protagonisti di numerose azioni nel Modenese, fra cui quelle di Monte Penna, Bertoceli e Benedello -. L'11 novembre 1944, mentre con la formazione ridotta senza munizioni tenta di attraversare le linee, è catturata, con la staffetta "Balilla", da pattuglia tedesca in perlustrazione e condotta a Rocca Cometa, poi a Pavullo nel Frignano (Modena) -. Processata il 26 novembre I944, a Pavullo, da ufficiali tedeschi del Comando di Bologna -. Fucilata alle ore 17 dello stesso 26 novembre 1944, da plotone tedesco, nei pressi delle carceri di Pavullo, con Renzo Costi, Domenico Guidani e Gaetano Ruggeri "Balilla” -. Medaglia d'Oro al Valor Militare.


 Sestola, da la "Casa del Tiglio", 1° agosto 1944
Carissimo Piero, mio adorato fratello, la decisione che oggi prendo, ma da tempo cullata, mi detta che io debba scriverti queste righe. Sono certa mi comprenderai perché tu sai benissimo di che volontà io sono, faccio, cioè seguo il mio pensiero, l'ideale che pur un giorno nostro nonno ha sentito, faccio già parte di una Formazione, e ti dirò che il mio comandante ha molta stima e fiducia in me. Spero di essere utile, spero di non deludere i miei superiori. Non ti meraviglia questa mia decisione, vero?
Sono certa sarebbe pure la tua, se troppe cose non ti assillassero. Bene, basta uno della famiglia e questa sono io. Quando un giorno ricevetti la risposta a una lettera di Pally che l'invitavo qui, fra l'altro mi rispose "che diritto ho io di sottrarmi al pericolo comune?"  vero, ma io non stavo qui per star calma, ma perché questo paesino piace al mio spirito, al mio cuore. Ora però tutto è triste, gli avvenimenti in corso coprono anche le cose più belle di un velo triste. Nel mio cuore si è fatta l'idea (purtroppo non da troppi sentita) che tutti più o meno è doveroso dare il suo contributo. Questo richiamo è così forte che lo sento tanto profondamente, che dopo aver messo a posto tutte le mie cose parto contenta. "Hai nello sguardo qualcosa che mi dice che saprai comandare", mi ha detto il comandante, "la tua mente dà il massimo affidamento; donne non mi sarei mai sognato di assumere, ma tu sì". Eppure mi aveva veduto solo due volte.
Saprò fare il mio dovere, se Iddio mi lascerà il dono della vita sarò felice, se diversamente non piangere e non piangete per me. Ti chiedo una cosa sola: non pensarmi come una sorellina cattiva. Sono una creatura d'azione, il mio spirito ha bisogno di spaziare, ma sono tutti ideali alti e belli. Tu sai benissimo, caro fratello, certo sotto la mia espressione calma, quieta forse, si cela un'anima desiderosa di raggiungere qualche cosa, l'immobilità non è fatta per me, se i lunghi anni trascorsi mi immobilizzarono il fisico, ma la volontà non si è mai assopita. Dio ha voluto che fossi più che mai pronta oggi. Pensami, caro Piero, e benedicimi. Ora vi so tutti in pericolo e del resto è un po' dappertutto. Dunque ti saluto e ti bacio tanto tanto e ti abbraccio forte.
Tua sorella Paggetto Ringrazia e saluta Gina.
Se è vero che il valore di uno stato si misura dal valore degli individui che lo compongono, alla luce delle storie delle tante persone racchiuse in questo libro, sono fiero di essere Italiano sull’esempio di questi grandi uomini e donne.



(Mi scuso per essere stato poco sintetico ma questo libro lascia tante emozioni ed è difficile riassumerle)

il sogno


post di Valentina Maccarrone
5 E



L'interpretazione dei sogni di Sigmund Freud pubblicato nel 1899 viene considerato da molti il libro del secolo in campo letterario, oltre che dal punto di vista della psicoanalisi. Nei mesi successivi alla pubblicazione di questo libro, egli si propone di scrivere una versione più sintetica e semplice della dottrina del sogno. Qui Freud espone i risultati ottenuti tramite l'applicazione della psicoanalisi allo studio dei sogni. Il metodo che egli utilizza procede scomponendo il sogno nei suoi vari elementi e ricercando per ogni elemento le associazioni possibili. Freud presenta una distinzione fra contenuto manifesto e contenuto latente (il primo indica ciò che nel sogno appare   chiaro, mentre il secondo è ciò a cui si arriva attraverso l'analisi) e definisce la trasformazione da contenuto latente a contenuto manifesto come lavoro onirico. Nel testo vengono esposte le principali attività oniriche (condensazione, spostamento , revisione secondaria e rimozione) approfondite e spiegate opportunamente anche attraverso esempi ricavati da casi di pazienti dello stesso Freud.  Attraverso il rapporto tra contenuto latente e contenuto manifesto si distinguono tre categorie in cui possono essere suddivisi i sogni. Del primo gruppo fanno parte i sogni sensati e intelligibili insieme; del secondo i sogni coerenti in se stessi e con un chiaro contenuto, ma che sorprendono; e infine del terzo fanno parte i sogni che appaiono incoerenti, confusi e privi di senso. In conclusione, il fondatore della psicoanalisi parla del sogno come custode del sonno, che per mezzo delle attività oniriche allontana gli stimoli esterni mostrando il desiderio appagato e permettendo la continuazione del sonno. Concludendo: il testo è articolato, ma viene reso facilmente comprensibile mediante gli esempi riportati, incrementando così la curiosità del lettore sull'argomento.   


venerdì 11 settembre 2015

i filosofi e la polis

Non è da oggi che la politica non vuole la saggezza della filosofia e l'imbarazzo della verità. Il rapporto fra i due pensatori greci, Socrate e Platone, il ruolo dei sapienti nella polis e la tradizione occidentale sono messi in luce in un’originale riflessione di Hannah Arendt, Socrate. 
Segue uno stralcio dell'incipit

 La Repubblica, 2 settembre 2015 
segnalato anche  nel blog di Francesco Virga


"Sicuramente, la contrapposizione tra verità e opinione è la conclusione più antisocratica che Platone potesse trarre dal processo di Socrate. Ai suoi occhi, fallendo nel tentativo di convincere i cittadini, Socrate aveva mostrato che la città non è un posto sicuro per il filosofo: non solo nel senso che il possesso della verità mette in pericolo la vita del filosofo; ma anche nel senso, assai più rilevante, che non si può fare affidamento sulla città per preservare la memoria del filosofo, la sua presumibile grandezza e la fama immortale che gli è dovuta. 

Se erano arrivati a uccidere Socrate, gli Ateniesi sarebbero stati fin troppo propensi a dimenticarlo una volta morto. Per salvaguardare la sua immortalità terrena, occorreva incoraggiare i filosofi a una solidarietà tutta loro, contrapposta alla solidarietà con la polis e con i concittadini. Per questo Platone avrebbe infine rivoltato contro la città un vecchio argomento usato contro i sophoi (i sapienti), e ancora presente in Platone e Aristotele: i sapienti non sanno che cosa sia bene per loro (che è il prerequisito della saggezza politica), appaiono ridicoli quando si mostrano nella piazza del mercato, e sono di fatto lo zimbello di tutti (come Talete, che fu deriso da una giovane contadina quando si mise a fissare il cielo e cadde nel pozzo ai suoi piedi).

Per comprendere l’enormità [della replica di Platone, cioè] della pretesa che il filosofo governi la città, dobbiamo tenere ben presenti questi comuni pregiudizi, che la polis nutriva nei confronti dei filosofi ma non nei confronti di artisti e poeti: solo il sophos non sa che cosa sia bene per se stesso, e ancora meno sa che cosa sia bene per la polis . 

L’ideale platonico del sophos o sapiente che governa la città deve qui essere inteso in contrapposizione all’ideale comune del phronimos , colui che è capace di comprensione, e che in virtù della sua perspicacia negli affari umani è qualificato per la leadership — ma non per regnare. Nella polis la filosofia, l’amore per la sapienza, non era affatto identificata con la saggezza, con la phronesis . Il sapiente, infatti, si occupa di questioni estranee alla vita della polis . E Aristotele concorda pienamente con l’opinione comune quando afferma: «Anassagora e Talete erano sapienti ma non saggi. Non si interessavano di ciò che è bene per gli uomini — glianthropina agatha ». 

Ora, Platone non negava che il filosofo si occupasse di argomenti eterni, immutabili, non umani. Ma non era d’accordo sul fatto che ciò lo rendesse inadatto a un ruolo politico. Ossia non era d’accordo con la polis , secondo la quale il filosofo, proprio perché disinteressato a ciò che è bene per gli uomini, corre continuamente il pericolo di diventare un buono a nulla (...). Questa accusa, e cioè che la filosofia possa fiaccare le qualità del cittadino, è implicitamente contenuta nella famosa affermazione di Pericle: «Amiamo il bello senza esagerazione e amiamo la sapienza senza sdolcinature ed effeminatezze». In altri termini, diversamente da noi e dai nostri pregiudizi, che imputano “sdolcinature” ed “effeminatezze” all’amore per il bello, i Greci vedevano pericoli di questo tipo nella filosofia. La filosofia, intesa come interesse per il vero senza riguardo per gli affari umani (e non come amore per il bello, che era rappresentato dappertutto nella
polis , nelle statue come nella poesia), spingeva i filosofi fuori dalla polis e li rendeva incapaci di occuparsene."
Hannah Arendt, Socrate


giovedì 10 settembre 2015

ECCE HOMO - COME SI DIVENTA CIÒ CHE SI È


post di Stefania Garozzo
5 E

 


Sin dal primo capitolo, Nietzsche attribuisce il suo ‘Ecce homo’ alla malattia cui è stato costretto nell’estate del 1879. Solo con gli occhi del malato, infatti, si può guardare a concetti più sani e murarsi in sé stessi. Questa è la prima accortezza dell’istinto, durante quella che il filosofo definisce ‘gravidanza spirituale’. La malattia costringe al capovolgimento delle proprie abitudini e obbliga all’immobilità, all’ozio; comanda di dimenticare e induce a pensare. 

Allo stesso modo gli ultimi giorni estivi, che ho dedicato alla lettura di questo libro, mi hanno portato alla riflessione affrontando un percorso per ritrovare me stessa. Come si evince infatti dal titolo ‘Ecce homo: come si diventa ciò che si è’, è un viaggio spirituale volto alla ricerca della propria essenza. Dobbiamo prima perderci, rovesciare i principi comunemente accettati per guardare al mondo reale senza che su di esso gravi la menzogna degli ideali. Quella di Nietzsche è una vera e propria ‘crociata dell’amoralità’ e il suo intento è la trasvalutazione dei valori, primi fra tutti quelli cristiani che distolgono l’uomo nella ricerca della verità, ingannandolo con nozioni grossolane. Il filosofo propone dunque il concetto di ‘superuomo’, affermazione suprema, uomo ben riuscito ‘par excellence’, superamento della morale comune guidato dallo spirito dionisiaco e dalle sensazioni  fisiche. 
Ma cos’è il superuomo di Nietzsche se non un ideale?
Pieno di contraddizioni, spesso di difficile comprensione e da molti frainteso, dal testo sorge dunque spontanea una riflessione sulla natura dell’autore: è forse semplice spirito di contraddizione o puro genio e sregolatezza? Penso che Nietzsche sia prima di tutto un uomo dalla personalità spesso controversa, piena di chiaroscuri e a volte contraddittoria. Possiamo trovarci d’accordo o come me, di tanto in tanto in disaccordo, con molte delle sue affermazioni ma non possiamo non riconoscerne la grandezza. Come Manzoni per Napoleone nel ‘5 maggio’, mi chiedo quando il mondo potrà di nuovo accogliere una personalità di tale importanza. Nietzsche sembra sempre avere un’idea sicura e all’apparenza inattaccabile su ogni aspetto della vita, ciò che non lo uccide, lo fortifica ma egli stesso accenna alla dualità che lo caratterizza, si definisce ‘decadent’ e al tempo stesso ‘inizio’.

Nel suo ‘Ecce homo’ Nietzsche non nasconde la totale repulsione per l’ambiente chiuso della Germania di fine Ottocento tanto da diventare quasi antitedesco. Si sente incompreso da un paese che non si dimostra all’altezza della sua sensibilità, che non capisce i suoi scritti, che lo sottovaluta. Molto spesso frainteso, mi chiedo come le sue teorie abbiano potuto influenzare il successivo nazismo. Le sue espressioni, nella feroce critica, hanno talvolta saputo strapparmi un sorriso ‘basta il clima tedesco per scoraggiare intestini forti e anche eroici’.

‘Ecce homo’ è un libro che mi ha lasciato tanto, mi ha insegnato a non accontentarmi delle apparenze e delle conoscenze dogmatiche, a non aver paura di scavare sempre più a fondo per elaborare una visione del tutto personale della mia realtà, mi ha talvolta portato in un universo parallelo e indotto a riflettere su chi sono stata, chi sono e chi vorrò essere.

Spero di non averti deluso Friedrich, e di essermi avvicinata, almeno in parte, al tuo lettore ‘ideale’, un mostro di coraggio e di curiosità, con qualcosa di duttile, astuto, cauto, un avventuriero e uno scopritore nato.


lunedì 7 settembre 2015

L’ARTE DI OTTENERE RAGIONE


di Arthur Schopenhauer

post di Sergio Mangano, 5 E




L’ARTE DI OTTENERE RAGIONE è un piccolo trattato scritto da A. Schopenhauer e pubblicato dopo la morte del filosofo. L’opera analizza la dialettica eristica, che è a detta dell’autore “l’arte di disputare , e precisamente l’arte di disputare in  modo da ottenere ragione”. 

L’opera si apre con un capitolo introduttivo fondato su una premessa:  la cattiveria è innata nell’uomo ( Negativismo Antropologico). Ciò è fondamentalmente il motivo che spinge l’uomo a far prevalere la propria idea su quella altrui e che lo spinge dunque a cercare di ottenere ragione. Il capitolo è arricchito da rimandi alla filosofia precedente e in particolare ad Aristotele: è importante notare questi rimandi che sono messi in evidenza da citazioni e rimandi ad opere  del filosofo greco riguardo la dialettica e in particolare ai topici. 

I capitoli successivi si occupano di elencare tutti e 38 gli stratagemmi. La lettura è resa piacevole e leggera dall’utilizzo di continui esempi, tratti da esperienze del vissuto dell’autore e anche di esperienze fornite dagli scritti di autori passati, che hanno come scopo quello di agevolare il lettore nella comprensione del testo.
Ho trovato interessante la lettura poiché mi ha aperto gli occhi riguardo il mio modo di essere. Il mio interesse non è scaturito dall’apprendere nuovi stratagemmi quanto nel capacitarmi che tutti questi sono stratagemmi che, certe volte inconsciamente, mettiamo in atto in maniera del tutto naturale.
Interessante è  l’utilità e la validità di questi stratagemmi che posso prestarsi sia come armi per attaccare che come armi di difesa. Personalmente consigliere a chiunque  questo libro, sia per la sua semplicità e la meticolosa spiegazione sia per la capacità che ha di mostrare e far comprendere artifici che mettiamo in atto in maniera naturale.



Serena Stira 5E

Ho deciso di leggere questo libro perchè sono rimasta molto attratta dal titolo e soprattutto perchè giornalmente, parlando con i miei amici, mi sento quasi sempre ripetere la stessa frase "vuoi sempre avere l'ultima parola". 
Ho riflettutto molto ed è come se dietro questa loro affermazione vi si celasse il fatto che io voglia avere sempre ragione e quindi ho deciso per così dire di "indagare" un po' su di me. Una persona che vuole avere sempre ragione è una persona che non è in grado di vedere il punto di vista degli altri. Sono quindi persone con le quali è quasi impossibile dialogare perchè sanno vedere solo un punto di vista, il loro, e direi che non è proprio il mio caso in quanto sono sempre stata aperta al confronto e al dialogo e chi mi conosce può confermare. 

Questo libro mi è servito quindi per confutare le loro tesi che portano avanti da anni e soprattutto per capire (e far capire ai miei amici) che inconsciamente giornalmente tutti utilizziamo gran parte di questi stratagemmi a causa della naturale cattiveria del genere umano che ci fa essere all'occasione sleali.

Serena Pavonello, 5 E


L'arte di ottenere ragione, è un trattato composto da 38 stratagemmi con cui Schopenhauer porta l'uomo a far prevalere la propria tesi, sia l'oggetto della disputa vero o falso.  
In questo trattato, di facile comprensione, nonostante la complessità dell'argomento, Schopenhauer pone la sua attenzione su quella che viene chiamata da lui dialettica eristica, cioè "l'arte di disputare al fine di ottenere ragione"; l'utilizzo di essa è reso necessario dal fatto che l'uomo possiede una malvagità e una vanita innate, e quindi è volto a cercare di avere sempre ragione. 
Tuttavia, leggendo questo libro, che mi ha tenuto compagnia per questi ultimi giorni d'estate, ho riflettuto sul mio punto di vista e capito che molte volte l'aver avuto ragione in una disputa ha portato solo a una vana gratificazione personale, e non al bene comune che ho imparato a riconoscere studiando filosofia in questi due anni. 

Come dice Schopenhauer stesso, dovremmo essere fondamentalmente onesti con noi stessi: in questo modo, qualsiasi sia la diatriba, mireremmo esclusivamente a portare alla luce la verità, indipendentemente dalla sua conformità alla nostra posizione. 
                                                                                                                       
Daniel Giuffrida, 5 E

           ...Schopenhauer sottolinea il duro contrasto con il filosofo Hegel, che negli stessi anni indicava nella dialettica la via per giungere al culmine dello spirito. Negli stratagemmi il filosofo ci mostra come portare una discussione sui giusti binari, oppure semplicemente per troncarla prima che vi nascano brutte situazioni nelle contese. Esempi sono l’ampliamento dell’affermazione dell’avversario e restringere invece la propria; oppure usare l’ironia dichiarandosi incompetenti in quanto, non capendo la tesi formulata dall’avversario ci si rinuncia ad esprimersi, mostrando così che si tratti di una cosa insensata. Arthur Schopenhauer spiega che solo  con la pratica e l’esercizio si può battere l’avversario,diventando maestri della dialettica, usando sia mezzi sleali e non. A volte anche l’insistere su una tesi che appare già falsa a noi può trovare scusanti e riuscire anche a vincere nella disputa:


“Da che cosa deriva tutto questo?Dalla naturale cattiveria del genere umano. Se questa non ci fosse,se nel nostro fondo fossimo leali, in ogni discussione cercheremmo solo di portare alla luce la verità, senza affatto preoccuparci se questa risulta conforme all’opinione presentata in precedenza da noi o a quella dell’altro, diventerebbe indifferente”…”Ma qui sta il punto principale. L’innata vanità, particolarmente suscettibile per ciò che riguarda l’intelligenza, non vuole accettare che quanto da noi sostenuto in principio risulti falso, e vero quanto sostiene l’avversario”.

Michela Quattrocchi, 5 E

Questo libro mi ha colpito da subito con il suo titolo di forte impatto “L’arte di ottenere ragione”, consiglio a tutti la lettura di questo libro, perché anche se si è abili nel sostenere un discorso o una propria idea i 38 stratagemmi aiutano davvero a capire delle cose che magari a noi sfuggono o a cui non diamo neanche la giusta importanza e che possono essere decisive per la nostra “vittoria”.

cecità

di Silvia Vitale, 5 E

“Non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo. Ciechi che, pur vedendo, non vedono”




“Cecità” di Jose Saramago credo sia un capolavoro. 

L’opera, con il suo linguaggio semplice, mira al dunque, apre la mentre e ci fa interrogare sulla condizione umana e sulla razionalità. Essa va a colpire fondamentalmente la società moderna, che è super organizzata ed efficiente ma anche meschina e cieca, poiché dopo che il “mal bianco” ha colpito tutti gli uomini esce fuori la loro natura animale. 
I protagonisti sono costretti a vivere segregati all’interno di un fatiscente manicomio; tra di essi c’è la figura principale della moglie del dottore che in realtà conserva il dono della vista e decide di seguire il marito fingendosi cieca. La donna, che inizialmente tiene celato il suo segreto , resta spiazzata da ciò che è costretta a vedere: esseri umani che si lasciano andare, che non hanno più una dignità , nessuno ha il senso dell’organizzazione del gruppo, ognuno pensa per sé e per il suo stomaco. Tutti pensano alla propria sopravvivenza anche a scapito della vita degli altri.  

Dopo aver salvato il suo gruppo da un incendio, riescono ad arrivare sani e salvi per le strade della città dove la situazione non è migliore: feci e bisogni sono ovunque, i negozi sono stati distrutti , la spazzatura è ammassata nelle strade, tutti i ciechi lottano anche per un pezzo di pane duro.... si riscopre allora  l’importanza del cibo o di un singolo bicchiere d’acqua e anche la pioggia diventa come un manna dal cielo, un elemento che li purifica da ogni sporcizia fisica ma anche nell’anima, fino a riportarli alla vista . 

La donna con la sua vitalità rappresenta la forza della ragione , dell’amore e della pietà , lei è un dono di speranza per i ciechi che  scoprono una nuova visione della vita ma anche nuove emozioni. 

Il lieto fine ci insegna che, anche dopo aver toccato il fondo, non bisogna perdere la speranza, ma  continuare a lottare sempre.

Silvia Portale, 5 E

La cecità altro non è che una metafora del buio della mente. Saramago sottolinea in primo luogo l’indifferenza della società, l’egoismo che la caratterizza. Proprio il non assegnare un’ambientazione ed un tempo definiti fa si che questa critica venga mossa universalmente e possa riguardare tutti. Secondariamente denuncia la sopraffazione come mezzo di sopravvivenza e la dittatura come norma di vita, con tutte le coseguenze da ciò scaturite. 

Saramago scrive a tinte fosche la psiche, l’istinto e la realtà dell’uomo che annulla millenni di evoluzione biologica, sociale e culturale, quando la paura e la lotta per la sopravvivenza sono gli unici elementi che gli permettono di continuare a respirare.
“Non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo. Ciechi che, pur vedendo, non vedono.”

sabato 5 settembre 2015

immigrazione: domande e risposte




Che differenza c'è tra migrante, profugo, rifugiato?
  • Profugo è un termine generico che indica chi lascia il proprio Paese a causa di guerre o catastrofi naturali.
  • Rifugiato è colui al quale è stato riconosciuto lo status di rifugiato in base alla Convenzione di Ginevra del 1951.
  • Un migrante è colui che sceglie di lasciare volontariamente il proprio Paese d'origine per cercare un lavoro e migliori condizioni economiche.
    Contrariamente al rifugiato, può far ritorno a casa in condizioni di sicurezza.

Cos'è un rifugiato? 
Lo straniero, che dimostri un fondato timore di subire nel proprio Paese una persecuzione personale ai sensi della Convenzione di Ginevra, può ottenere questo tipo di protezione. Ai sensi dell'articolo 1 della Convenzione di Ginevra del 1951 è rifugiato "chi temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori del Paese di cui è cittadino e non può o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo Paese; oppure che, non avendo una cittadinanza e trovandosi fuori del Paese in cui aveva residenza abituale a seguito di siffatti avvenimenti, non può o non vuole tornarvi per il timore di cui sopra".

 - I NUMERI DELL'EMERGENZA - 


Quanti sono i migranti accolti oggi in Italia? 
Il sistema d'accoglienza attualmente ospita 93.608 profughi, tra centri governativi e strutture temporanee regionali.

Chi sono i migranti che arrivano sulle nostre coste? 
Finora, nel 2015, sono per lo più eritrei (29.019), nigeriani (13.788), somali (8.559), sudanesi (6.745) e siriani (6.324). Dunque in gran parte migranti che hanno diritto a una qualche forma di protezione internazionale.

Come sono distribuiti oggi i migranti accolti in Italia? 
Ecco le prime 10 regioni con le percentuali dei migranti accolti sul totale: Sicilia 16%, Lombardia 13%, Lazio 9%, Campania 8%, Piemonte 7%, Veneto 7%, Puglia 6%, Toscana 6%, Emilia-Romagna 6%, Calabria 5%.

L'Italia ospita troppi rifugiati? 
"Il numero di rifugiati accolti dall'Italia rimane modesto se comparato a quello di altri Paesi in Europa e nel mondo  -  spiega l'Unhcr  -   in media, infatti, l'Italia accoglie un rifugiato ogni mille persone, ben al di sotto della Svezia (con più di 11 rifugiati ogni mille) e della Francia (3,5 ogni mille). Per non parlare di casi limite: in Medio Oriente il Libano, al confine con la Siria, ospita circa 1,2 milioni di rifugiati, pari a un quarto della popolazione del Paese".
Quanti sono oggi gli immigrati in Italia? 
Alla luce delle stime Istat per inizio 2015, gli stranieri residenti in Italia arrivino a quota 5 milioni 73mila, rappresentando l'8,3% della popolazione totale.

Chi sono i "nuovi italiani"? 
Guardando alle nazionalità, si conferma la netta prevalenza di quella romena (22%), seguita da albanese (10,1%) e marocchina (9,2%).

Dove vivono gli immigrati? 
Entrando nel dettaglio delle presenze territoriali, in tre regioni del Nord e una del Centro è concentrato il 57% dell'intera popolazione straniera: si tratta di Lombardia (22,9%), Lazio (12,5%), Emilia-Romagna (10,9%) e Veneto (10,5%).

Cosa fanno i migranti? 
Sono impiegati nel settore dei servizi alla persona (39,3% sul totale degli occupati nel settore), degli alberghi e ristoranti (19,2%), delle costruzioni (18,0%), dell'agricoltura (17,1%), dell'industria in senso stretto (10,5%) e del trasporto (10,3%).

Quanti vanno a scuola? 
Nell'anno scolastico 2013/2014, gli alunni stranieri nelle scuole italiane sono 802.785 (di cui 415.182 nati in Italia), che corrisponde a un aumento, rispetto all'anno scolastico precedente, del 2,1%.

Quanti sono cittadini italiani? 
Sempre più cittadini: le acquisizioni di cittadinanza nel 2012 sono aumentate rispetto all'anno precedente del 16,4% (65.383). Le province con il maggior numero di acquisizioni sono Milano, Roma, Brescia, Torino e Vicenza.

Come si acquisisce la cittadinanza italiana?

  • Per matrimonio: dopo due anni di convivenza e residenza legale in Italia successivi al matrimonio.
  • Per naturalizzazione: se si risiede legalmente in Italia per 10 anni.
  • Se nato in territorio italiano da genitori stranieri: risiedendo legalmente e ininterrottamente dalla nascita fino al raggiungimento della maggiore età.
Qual è il peso dei migranti sulla criminalità? 
Dal 2000 al 2011, le denunce nei confronti di stranieri sono aumentate di ben il 339,7%, passando da 64.479 a 283.508, mentre il corrispondente aumento dei detenuti si riduce al 55,1% (da 15.582 a 24.174). Ma attenzione: "Riconsiderando l'aumento degli ingressi in carcere degli stranieri  - si legge sul rapporto Caritas e Migrantes  -  questi dipendono per lo più dalla loro permanenza in Italia senza permesso di soggiorno e dalla non ottemperanza al decreto di espulsione da parte dei giudici, punita con una pena detentiva da uno a 5 anni".

Gli immigrati sono un peso per l'Italia? 
Stando alla Fondazione Leone Moressa, il bilancio tra tasse pagate dagli immigrati (gettito fiscale e contributi previdenziali) e spesa pubblica per l'immigrazione (welfare, politiche di accoglienza e integrazione, contrasto all'immigrazione irregolare) è in attivo di +3,9 miliardi di euro.

Qual è il contributo dei migranti all'economia del Paese? 
Il Pil creato ogni anno dai lavoratori stranieri ammonta a 123 miliardi di euro, pari all'8,8% del totale nazionale. Quasi il 50% è prodotto nel settore dei servizi.