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domenica 30 agosto 2015

I vostri figli


I vostri figli non sono figli vostri...
sono i figli e le figlie della forza stessa della Vita.Nascono per mezzo di voi, ma non da voi. 
Dimorano con voi, tuttavia non vi appartengono.
Potete dar loro il vostro amore, ma non le vostre idee.
Potete dare una casa al loro corpo, ma non alla loro anima, perchè la loro anima abita la casa dell'avvenire che voi non potete visitare nemmeno nei vostri sogni.
Potete sforzarvi di tenere il loro passo, ma non pretendere di renderli simili a voi, perchè la vita non torna indietro, né può fermarsi a ieri.

Voi siete l'arco dal quale, come frecce vive, i vostri figli sono lanciati in avanti.
L'Arciere mira al bersaglio sul sentiero dell'infinito e vi tiene tesi con tutto il suoi vigore affinché le sue frecce possano andare veloci e lontane.

Lasciatevi tendere con gioia nelle mani dell'Arciere,

poiché egli ama in egual misura e le frecce che volano e l'arco che rimane saldo.
da PensieriParole <http://www.pensieriparole.it/poesie/poesie-d-autore/poesia-7735>

sabato 29 agosto 2015

il dolore della Palestina


La nostra rabbia è un furore che gli occidentali non possono capire. 
La nostra tristezza fa piangere le pietre


Queste righe sono dedicate ad un romanzo sconvolgente, Ogni mattina a Jenin, di Susan Abulhawa. 
Nelle sue 390 pagine non si trovano solo personaggi, emozioni, colori e immagini di una terra assai poco conosciuta da noi occidentali. In quelle pagine, che non vorresti mai completare di leggere, si trova una storia ignorata e nascosta ai più, un dramma consumato ed ancora perpetrato senza un motivo che la civiltà dell'Occidente "illuminato" sia in grado di spiegare, nè tantomeno di capire.
La storia della disumanità del secondo Novecento in Medio Oriente. 
Una storia che segue la disumanità dei campi di concentramento quando non avrebbe dovuto farlo, quando avrebbe SOLO dovuto condannarla. Eppure è stata scritta sulla pelle di un popolo che aveva in Palestina le proprie case, il lavoro, gli affetti, le speranze del futuro.

Dopo aver letto il romanzo si aprono le finestre di un mondo di tragedie e dolori che non siamo stati mai invitati a visitare e che non possiamo più cancellare dalle mappe della nostra intelligenza e sensibilità. 

Con la scrittrice si può comunicare attraverso il suo sito (http://morningsinjenin.com/),  una buona idea per non finire la visita della Palestina con la lettura di questa straordinaria narrazione....facciamolo, sarà un piccolo gesto di solidarietà..
Grazie Susan



hanno scritto:

Non è solo un racconto corale o un affresco familiare ma il dramma della Palestina quando nel 1948 “Smette di tenere il conto dei giorni, mesi e anni per diventare solo foschia infinita di un preciso momento storico”. 

Secondo la scrittrice ogni scrittore palestinese quando scrive, a prescindere da ciò che scrive, fa un atto di resistenza perché fa parte di un popolo a cui hanno cancellato il proprio posto sulle mappe; così qualsiasi espressione artistica diventa atto politico. “Ogni mattina a Jenin” vuole essere anche un atto di denuncia verso la leadership palestinese che non ha saputo stringere il suo popolo attorno al proprio destino, senza ascoltarlo, lo ha lasciato in balia dei conflitti interni tra le fazioni. Leadership spesso intenta a definire e ridefinire limiti, confini di uno Stato inesistente per compiacere le richieste dell’Altro, inseguendo una pace senza giustizia.
Così non ha saputo vedere la vita reale delle strade, delle carceri, insomma la vita di tutti i giorni sotto occupazione. Con questo libro Susan Abulhawa, palestinese che vive negli Stati Uniti, ci trasmette un grande valore che appartiene al popolo palestinese: il senso d’identità. Non è la creazione di una struttura politica a definire l’identità, non è la nazionalità che fa si che si diventi palestinesi ma l’appartenenza a quella terra significa possedere certe tradizioni, cibi, costumi, musica e soprattutto ricordi.

Yaheya e Bassima, Hassan e Darwish, Dalia, Yussef e Isma’il, Fatima, Amal e Majid, Falastin e Sara. Più di sessant’anni di storia, dal 1941 al 2002. Sono gli anni della guerra tra Israele e Palestina, gli anni della distruzione e della devastazione, degli scontri tra culture sorelle ma dal rapporto problematico. Una famiglia come tante, emblema delle disgrazie che inutili conflitti hanno riversato su intere generazioni. Donne e uomini, padri, madri, figli, mariti e mogli. Nel 1941 la guerra tra Israele e Palestina inizia a sconvolgere intere popolazioni. Bassima ama le rose, forse più del marito Yaheya, dal quale ha avuto due bei figli maschi, proprio come vuole la cultura e la tradizione araba. Sono Hassan e Darwish, anime simili e contrastanti allo stesso tempo, animati da un amore viscerale tra fratelli, amore che porta Darwish a rinunciare a Dalia per favorire il fratello Hassan. Dalia: beduina ribelle, donna forte e risoluta. Più che innamorata di Hassan, ama il cavallo di Darwish, ma decide di sposare il fratello, dal quale ha i primi due figli maschi: Yussef e Isma’il. Dalia è una madre e moglie devota, legata ai propri figli e alla propria terra, rappresentata da Jenin, piccola cittadina araba. Proprio quella città diventa presto teatro degli assassinii tra fratelli, alla ricerca di un’autonomia personale, di una cultura individuale, in una distanza incolmabile per tradizioni e religione. La vita di Dalia viene sconvolta dalla scomparsa del figlio Isma’il, un piccolo bambino di quattro anni con una cicatrice vistosa sul volto, causata dal fratello Yussef. Sarà questo segno particolare la chiave di volta della storia della famiglia, quando Sara, nipote di Dalia e figlia di Amal, ultima creatura che la beduina aveva messo al mondo dopo aver perso Isma’il, decide di fare luce sul suo passato e su quello della famiglia di sua madre, certa di alcune mancanze, di lacune. Tutto dettato da una madre che si era rifiutata di ripercorrere anni terribili, le cui conseguenze avrebbero tardato a scomparire completamente. Eppure l’amore domina tutto: storie di passione, di amicizia, di rispetto e di amore fraterno, sullo sfondo dello scontro arabo-palestinese… 
Susan Abulhawa ha scritto un romanzo toccante, paragonato a Il cacciatore di aquiloni per intensità e tematica. Tra le sue pagine si alternano delle voci, a volte con un racconto in prima persona, altre con la descrizione di azioni e pensieri. Le parole, i pensieri e le azioni di generazioni colpite e afflitte da una guerra che non hanno voluto e non vogliono avere, sono dense di tutto il dolore e di tutta la nostalgia delle atmosfere, dei profumi e dei suoni di Jenin. -  leggi qui


Susan Abulhawa è nata da una famiglia palestinese in fuga dopo “La guerra dei Sei Giorni” e ha vissuto i suoi primi anni in un orfanotrofio a Gerusalemme. Adolescente, si è trasferita negli Stati Uniti dove si è laureata in Scienze Biomediche e ha avuto una brillante carriera. Vive in Pennsylvania. Autrice di numerosi saggi sulla Palestina, ha fondato l’associazione Playgrounds for Palestine che si occupa dei bambini dei territori occupati.


mercoledì 26 agosto 2015

Il vizio di esistere


 post di Marika Montalto, 5 E


Poco dopo aver finito “La metamorfosi” di Franz Kafka e vagando fra le pagine de “La nausea” di Jean Paul Sartre, sono rimasta impigliata in una delle singolari frasi dell’autore:

“Ogni esistenza nasce senza ragione, si protrae per debolezza e muore per combinazione” (Sartre)

Come mi è sembrato strano trovare tra i pensieri di Antonio Roquentin, il protagonista de “La nausea”, il perfetto riassunto di quella che era stata la vita di Gregorio Samsa, il povero sfortunato protagonista de “La metamorfosi” che un mattino si era svegliato tramutato in scarafaggio.
La mia mente aveva perciò colto una delle tante sfaccettature dei due racconti che in qualche modo si intrecciava e li legava indissolubilmente.

Io vedevo i libri in maniera diversa da come mi erano apparsi di primo acchito.

Sartre parla della nausea come di una improvvisa vampata di consapevolezza che si impadronisce del pensiero di Antonio e che non gli permette più di ignorare l’ esistenza.

“Nelle mie mani, per esempio, c’è un qualcosa di nuovo, una certa maniera nel prendere la pipa o la forchetta. Oppure è la forchetta che adesso ha un certo modo di farsi prendere, non so.” (Sartre)


La Trahison des images”– René Magritte

Così come Gregorio sente di essere cambiato, di essere diverso, anche Antonio sa che dopo la prima volta che ha provato la nausea non c’è alcun modo di tornare indietro. Entrambi acquisiscono una prospettiva diversa, un modo di vedere il mondo che prima non avevano mai nemmeno preso in considerazione.
Gregorio vede che adesso, da scarafaggio, il suo rapporto con gli oggetti non è più quello di prima e che anche l’affetto dei parenti, sul quale non avrebbe mai dubitato, muta di giorno in giorno finché non sarà pressoché sostituito da indifferenza e rigetto.
Così anche Antonio trovatosi di nuovo dinanzi il suo amore giovanile, Anny, prende coscienza dello scorrere del tempo e del cambiamento che esso detta. La ragazza è cambiata e anche il suo comportamento nei suoi confronti è cambiato, ma i desideri di Roquentin stesso non sono più quelli di appena poche settimane prima, quando non vedeva l’ora di rivederla.
Così come la nausea gli ha fatto capire l’esistenza, così la consapevolezza che il mondo esiste e non può fare a meno di farlo gli fa comprendere che l’idea di Anny di “sopravviversi” è solamente un modo diverso in cui lei accetta la nausea, che non riconosce di avere allo stesso modo di Antonio.

“L’esistenza non è qualcosa che si lasci pensare da lontano: bisogna che v’invada bruscamente, che si fermi su di voi, che vi pesi greve sullo stomaco come una grossa bestia immobile.” (Sartre)



“Altro mondo II” - Escher

Ma che cos’è realmente l’esistenza?

Gregorio credeva di saperlo. Credeva che l’esistenza fosse il suo vivere in maniera sempre simile un giorno dopo l’altro, portando avanti i suoi affari da commesso viaggiatore, ascoltando la sorella suonare il violino e rispettando i genitori che l’avevano sostenuto fino ad allora. Poi la sua esistenza mutò completamente e così il suo rapporto con le altre infinite cose che esistevano adesso ai suoi occhi in una maniera differente.
Antonio si domanda spesso cosa sia l’esistenza e come possano le cose esistere in confronto al tempo.
L’esistenza è memoria. Le cose esistono nel presente perché ne abbiamo un ricordo passato, ma il passato già non esiste più. Ciò che esiste è vivo nell’attimo in cui lo vediamo e ci domandiamo se esiste. Se non ci fosse memoria non ci sarebbe nemmeno pensiero e non è forse il pensiero che ci permettere di decidere se qualcosa esiste o no?
L’albero esiste ed esiste in base al rapporto che ha con noi, noi che riusciamo a pensare la sua esistenza. L’albero non si pone nemmeno il pensiero di esistere.
Il movimento è anche esso un esistente, che non nasce e non muore, ma semplicemente è. Se il moto esiste, il vuoto invece non è pensabile. Tutto è formato da infiniti esistenti in relazione tra loro e con noi, che gli tributiamo l’esistenza.

“E’ dunque questa la nausea: quest’accecante evidenza? Quanto mi ci son lambiccato il cervello! Quanto ne ho scritto! Ed ora lo so: io esisto – il mondo esiste – ed io so che il mondo esiste. Ecco tutto. Ma mi è indifferente.” (Sartre)

Così Antonio e così anche Gregorio si accorgono che al mondo tutto può cambiare in base al punto da cui si osserva, alle esperienze che filtrano la nostra visione e ai sentimenti che influenzano il nostro giudizio.

Niente nella vita è motivato e giustificato, spetta solo all’individuo  giustificare se stesso e  dare un senso alla propria libertà.

domenica 2 agosto 2015

La dignità umana al primo posto

 Raccolgo con piacere l'invito di Sergio Mangano per segnalare l'operato di don Pippo Insana a Barcellona Pozzo di Gotto. Da anni segue soggetti con problemi psichiatrici e lotta per difendere i loro diritti e il rispetto della loro diversità.

L'operato di persone  che hanno a  cuore la dignità dell'essere umano è sempre esempio luminoso nella strada della nostra vita.

Invito Sergio ad aggiungere una sua riflessione a seguito dell'esperienza appena conclusa