logo

logo

sabato 27 settembre 2014

La peste






di Albert Camus

Relazione a cura di Luisa Vecchio, V B

Nella città algerina di Orano, durante gli anni Quaranta – periodo in cui il territorio è posto sotto la dominazione francese - scoppia inesorabile un’epidemia di peste, che recide giorno dopo giorno migliaia di vite. Isolata con un cordone sanitario dal resto del mondo e del tutto impotente di fronte alla dilagante pestilenza, la città diventa teatro dei tormenti di una società che vacilla tra disgregazione e solidarietà.

Protagonisti della vicenda sono la fede religiosa, il materialismo di chi non crede in nulla ma che comunque non è capace di “essere felice da solo”, il puro senso del dovere dell'uomo in quanto essere umano, che si scontrano con l'indifferenza, il panico e l'egoismo che governano il mondo.

Il dottor Bernard Rieux è un medico che giustifica la sua esistenza nell' esercizio della sua professione. Egli si realizza nella lotta per strappare alla morte i suoi malati e si ribella contro l' assurdità della morte che non riesce ad accettare come espiazione, come sostiene invece Paneloux, sacerdote che vede nella peste una punizione divina. Jean Tarrou è un uomo che si è reso libero prendendo in mano le redini della sua vita rifiutando di condurre una vita del tutto priva di umanità. Poi c’è Raymond Rambert, un giornalista straniero per caso nella città, che cerca con ogni mezzo di lasciare la città per ricongiungersi con la sua amata, ma che decide di rimanere a causa della consapevolezza di non poter abbandonare i suoi simili per puro egoismo. Tutti questi eroi devono dunque confrontarsi con la difficile scelta tra l’egoistico bene individuale e la genuina solidarietà verso l’essere umano.

Il tema centrale dell’opera è dunque la lotta tra bene e male. La peste sarà alla fine vinta, ma sul male che essa rappresenta non ci possono essere vittorie definitive. La drammatica vicenda - la peste ha un evidente valore simbolico - spinge i protagonisti del romanzo a cogliere i valori legati all'esistenza umana: “vi sono negli uomini più cose da ammirare che da disprezzare”, afferma Camus. E questi valori sono tanto più profondi quando si riferiscono all'essere umano, al “ prossimo”: vivendo una situazione avversa, l'uomo scopre di essere accomunato agli altri uomini dagli stessi sentimenti e dalle stesse aspirazioni, primo tra tutti il desiderio di reagire alla disperazione e alla morte.

Personalmente devo dire che leggere questo libro mi ha aperto nuovi orizzonti nella riflessione sulla condizione umana, sulla nostra ragion d’essere e su quella miriade di azioni che, nel nostro piccolo, abbiamo la possibilità di compiere mentre viviamo questo meraviglioso mistero che è la vita.

domenica 21 settembre 2014

ops...un lapsus!


 di Valerio Emanuele, classe 5 B


Dopo la lettura del saggio freudiano “Psicopatologia della vita quotidiana” è aumentata la mia attenzione verso i lapsus  e riuscire ad analizzarli è stato interessante. Per questo vorrei parlare di questa sezione dell’opera e condividerla con chi non ha avuto ancora il piacere di leggerla. 

Per prima cosa il termine lapsus, di derivazione latina, ha come significato ‘scivolone’ ed è ciò che prendiamo tutte le volte in cui vorremmo dire o fare qualcosa mentre poi finiamo per farne un’altra. Come gli errori linguistici o le improvvise dimenticanze di nomi o fatti, tutte quelle situazioni che ci fanno dire: “Ce l’ho sulla punta della lingua!”. Freud li chiamava ‘atti mancati’, atti – cioè – il cui errore non va attribuito al caso e non portano-mancando quindi lo scopo- al traguardo prefissato. Questi atti mancati, o lapsus freudiani, rappresenterebbero un conflitto psichico che si genera tra ciò che vorremmo fare e le tendenze interne (inconsce) spesso contrarie al volere cosciente. Il risultato è che le tendenze inconsce vincono la coscienza, dal momento che si ha una momentanea perdita di controllo, e mettono in evidenza il desiderio sottostante. 

Sempre secondo Freud gli svariati errori, ad esempio ricordare un nome, oppure chiamare Maria con un altro nome, starebbero alla base di una sorta di compensazione. Tramite le libere associazioni, quella dimenticanza o errore spesso ci porta ad un motivo preciso che chiarisce la sostituzione. Il pensiero comune, prima di Freud, considerava il fenomeno  irrilevante mentre invece sarebbe il risultato di una serie di meccanismi ben precisi e strumenti fondamentali per comprendere meglio l’inconscio, dove si trovano i contenuti rimossi. Tali contenuti, nel loro tentativo di riemergere, sono sottoposti costantemente al controllo della censura, ma possono anche confondersi con il materiale cosciente generando compromessi, sintomi nevrotici e, appunto, lapsus. 

Ma come si interpretano questi lapsus? I lapsus sono sicuramente ottimi strumenti per prendere confidenza con le dinamiche dell’apparato psichico purché non si esageri. Sono ottimi strumenti di lettura per interpretare il significato delle manifestazioni indirette ma occorre porsi alla giusta distanza tra la negazione totale del fenomeno e l’eccessiva enfasi di esso. A chi, magari inizialmente, fosse scettico riguardo il fenomeno, Freud garantisce che il metodo psicoanalitico può essere applicato quasi a tutti i lapsus che si presentano nel parlare o nello scrivere. Un esempio dello stesso Freud potrebbe meglio spiegare il meccanismo: “Un amministratore delegato apre la seduta concludendo con: ‘… e visto che ci siamo tutti, la seduta è chiusa’ . Segno evidente che non si attendeva nulla di buono dalla discussione del consiglio."

E le dimenticanze? Secondo Freud, dimenticare ciò che si sa o si sapeva, o cosa si vorrebbe fare ma si dimentica di fare, non sarebbe legato all’importanza della cosa ma alla sensazione spiacevole che la cosa implica. Quindi faremmo una selezione delle cose da ricordare oppure dimenticare, in funzione delle relative sensazioni correlate. Quindi se una cosa è per noi spiacevole saremmo più inclini a dimenticarla. È dunque il caso della perdita di un oggetto poichè il nostro inconscio ‘nasconde’ l’oggetto alla parte cosciente – nel momento in cui ne ha la possibilità – e dunque per ritrovarlo dovremmo portare alla mente il motivo inconscio per cui l’avremmo voluto nascondere, permettendo alla coscienza di ricostruire il percorso seguito.Insomma, in termini pratici, se domani avessi italiano e dovessi consegnare un compito importante di cui però non sono sicuro, ma non ho il tempo di rivedere, è molto probabile che, se l’inconscio riesce ad avere la meglio, esso mi porterà a posare il lavoro appena finito dentro un quaderno o un libro che l’indomani non porterò e che dunque mi avrà fatto dimenticare il compito importante a casa. E sarà nel momento in cui riporterò alla mente il motivo inconscio che la parte cosciente mi rivelerà l’esatta posizione del compito, finora nascosta. 
Essenzialmente, se si fa una buona analisi, dovrebbe funzionare immediatamente, altrimenti potrebbe riaffiorare dopo qualche tempo.

Albert Camus – “Mito di Sisifo”


post di Carmelo Sgroi V H






Dopo aver svelato i segreti degli dei e aver ingannato persino la morte, Sisifo viene condannato a spingere un pesantissimo macigno sino alla sommità di una montagna; nell’attimo stesso in cui questo sforzo si completa, la pietra ricade a valle e Sisifo è costretto a ricominciare da capo. L’eroe rappresenta l’uomo che invano tenta di dare un senso alla sua esistenza tramite delle illusioni, dimenticando di essere in ogni caso un “condannato a morte” e tralasciando l’assurdo (un sentimento che nasce dallo sconforto provato dall’uomo nel momento in cui non vi è alcuna risposta alle domande esistenziali che esso si pone). Il Sisifo felice di continuare a spingere il suo masso come se la cosa avesse un suo perché è l’uomo, che attraverso le sue consuetudini s’illude di dare un senso alla vita.

Ma, al di là delle alternative (vivere accettando l’assurdo o sfuggire ad esso mediante il suicidio), tutti gli uomini trovano uguaglianza nella morte.

Al termine di tutto, nonostante tutto, vi è la morte.

Lo sappiamo, e sappiamo anche che, con essa, tutto finisce.

sabato 20 settembre 2014

festival della laicità




Logo-FML_Arte_s 


Con l’intento di esplorare nuovi territori e percorrere inattesi varchi nella libertà di pensiero in una prospettiva  di condivisione, torna a Pescara, con lo sguardo proiettato verso più lontane sponde, il Festival Mediterraneo della Laicità. Il Festival Mediterraneo della Laicità è un progetto culturale scelto tra quelli nazionali dall’Ufficio Otto x mille della Tavola Valdese, che lo sostiene  consentendone la piena e libera realizzazione. A partire da questa edizione, il Festival si avvale inoltre della preziosa collaborazione  ideativa e scientifica di LabOnt, Centro di ricerca del Dipartimento di Filosofia dell’Università di Torino diretto da Maurizio Ferraris: una realtà consolidata di qualità e innovazione che introduce nel festival  la circolazione di pensiero e iniziative di livello nazionale ed internazionale, come risulta   nel programma   dei giorni, dal 17 al 19 ottobre 2014, inseriti all’interno di un fitto calendario di eventi culturali di un mese  il cui filo conduttore sarà il rapporto tra laicità ed arte.
 Abbiamo scelto di approfondire il nesso tra laicità ed Arte  perché  questa è una componente imprescindibile ed esemplare della cultura, per il suo ruolo di rappresentare, criticare, modificare le forme di vita e le relazioni con il mondo in un rapporto di condivisione. Arte intesa sia come linguaggio universale, sia come elaborazione simbolica delle libertà personali. Arte che esplora l’esistente rapprentandolo e criticandolo e di volta in volta offrendone una immagine, attraverso i suoi vari linguaggi, in modo dinamico, provvisorio e spiazzante. Arte come sinonimo di libertà  e pensiero condiviso.
“Attraverso la proposta tematica scelta, ogni anno individuata, il festival vuol costruire un pezzo di integrazione, partecipazione e cittadinanza senza confini e divisioni.” spiega la coordinatrice Silvana Prosperi, presidente dell’Associazione Itinerari Laici. “Il festival vuol contribuire a definire una dimensione culturale e sociale aperta e plurale che nelle  e dalle differenze, tragga un nuovo concetto di senso civile di appartenenza.”
Per una maggiore interazione, soprattutto  con i giovani, l’Associazione Itinerari Laici sta raccogliendo testimonianze scritte e/o visuali sul tema “Laicità e arte: libertà di pensiero e libertà di espressione”, provenienti da chiunque desideri contribuire al progetto, e che possono essere recapitati all’organizzazione attraverso la pagina Facebook del festival (https://www.facebook.com/pages/Festival-Mediterraneo-della-Laicità/281980455160623). 

Gli interventi verranno pubblicati sul sito della manifestazione e inviati a testate giornalistiche.


venerdì 19 settembre 2014

scatti di conoscenza: incontro con la fede, dal mio viaggio in Turchia


 post di Siria Magro, 5 H


Visualizzazione di DSC_0362.JPG


Questa foto è stata scattata ad Izmir in Turchia alla casa della Vergine Maria
In questo luogo c'è la casa dove visse i suoi ultimi anni terreni Maria.
Per gli archeologi l'edificio risale al I secolo d. C ed è meta di un costante pellegrinaggio di fedeli e studiosi.
Meryem Ana per lo Stato è un museo, per musulmani e cattolici invece è un piccolo santuario ecumenico, dove pregano insieme e portano ex voto di ringraziamento. Per i musulmani Maria è “solo” la Madre di Gesù, che per loro fu solo un profeta e non il figlio di Dio. Maria (Maryam) è citata nel Corano ed è anche l’unica donna chiamata con il suo nome. Questo fatto spiega perché anche i musulmani vengano qua per invocare il suo aiuto, per superare le difficoltà della vita.

Visualizzazione di DSC_0360.JPG
La cosa che mi ha colpito di più è proprio questo lenzuolo bianco creato da tutte le preghiere che i fedeli hanno appeso al muro affinchè, per intercessione di Maria, si avverassero. Ritengo questa una piena testimonianza del bisogno dell'uomo di sentirsi protetto e di affidarsi alla propria fede.


martedì 16 settembre 2014

contro l'omofobia


In occasione dell'inizio dell'anno scolastico 2014-15, Amnesty International Italia ha annunciato la sua offerta educativa a scuole e istituti di ogni ordine e grado, centrata sulla celebrazione del 25° anniversario della Convenzione sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza e sulla necessita' di contrastare l'omofobia e la transfobia in ambito scolastico.

 "Sono passati 25 anni da quando l'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha approvato la Convenzione internazionale sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza. Per la prima volta, in un atto internazionale, i minori sono stati riconosciuti come protagonisti: persone che hanno il diritto di partecipare alle scelte che le riguardano, in grado di esprimere idee proprie e prendere decisioni" -ha sottolineato Gianni Rufini, direttore generale di Amnesty International Italia. "Gli strumenti educativi di Amnesty International, come il progetto Amnesty Kids (http://www.amnestykids.it/), rivolto alle scuole primarie e secondarie di I grado, hanno l'obiettivo di far conoscere ad alunne e alunni i loro diritti sanciti dalla Convenzione del 1989, in modo che ne comprendano l'importanza e si attivino per difenderli".






"Come accade purtroppo in diverse parti del mondo e dell'Europa, anche in Italia i diritti delle persone lesbiche, gay, bisessuali, transgender e intersessuate (Lgbti) sono messi a rischio dalla discriminazione e da altri fattori, legislativi, sociali e culturali. Le istituzioni hanno l'obbligo di prevenire e contrastare la discriminazione, perché qualsiasi eccezione all'universalità dei diritti umani è inaccettabile".

Il sogno



post di Salvatore Zumbo, 5 L


Autore: Sigmund Freud
Anno di Pubblicazione: 1899



Nella valutazione dei sogni nel corso del tempo sono andate formandosi tre correnti di pensiero:  per i filosofi nei sogni ci si eleva mentalmente ad un livello superiore, per i medici i sogni non hanno senso in quanto nascono solo da stimoli sensoriali e somatici e  per la gente comune diventano premonizioni del futuro.

Freud nel suo saggio rivendica al sogno la dignità e la pienezza di significati a cui hanno diritto  tutte le operazioni psichiche umane.  Egli, quindi, distingue il “contenuto manifesto” del sogno dal “contenuto latente” dello stesso.
 Il primo è ciò che viene ricordato al risveglio dal sognatore, o in altre parole, un ricordo carico di simboli che deve essere interpretato per poter arrivare al significato “profondo” del sogno stesso; il secondo, invece, è il contenuto mascherato dagli elementi simbolici che vengono indicati con il termine “ contenuto manifesto”. Il passaggio dal contenuto latente a quello manifesto è un esempio di cambiamento di materiale psichico da un modo di espressione ad un altro comprensibile solo attraverso uno sforzo mentale.


Ad opinione del padre della psicoanalisi esistono tre categorie di sogni dove la relazione tra i due contenuti è determinante:
Sogni sensati e comprensibili, di tipo infantile, dove i due contenuti coincidono e rappresentano un desiderio che viene mostrato come appagato. Essi hanno nessi con la vita diurna.
Sogni coerenti ma sconcertanti, che esprimono un desiderio rimosso, con un travestimento, e quindi si necessita l’interpretazione  in quanto i due contenuti non coincidono.
Sogni senza senso o incomprensibili, che rappresentano un desiderio rimosso senza mascherarlo o con maschere insufficienti e anche qui i due contenuti sono in contrasto.


Freud, di seguito, afferma che il lavoro onirico comprime e condensa. Appare evidente che ogni situazione del sogno sembra essere tratta da due o più esperienze diverse, ma nel materiale dei pensieri onirici, per un lavoro ottimale, devono esserci uno o più elementi comuni. Freud quindi enuncia che se nell’analisi del sogno l’incertezza si può risolvere con un “o..o”, questo, nell’interpretazione, deve essere sostituito con un “e”, e considerare ogni termine dell’alternativa come punto di partenza per altre associazioni. Quando tra due pensieri onirici non c’è nulla in comune e questi si devono unire, il lavoro onirico cambia la forma verbale di uno di essi, per portarlo incontro all’altro: quindi il lavoro onirico si serve dell’ambiguità verbale. Il processo di condensazione spiega alcuni elementi del sogno come le figure collettive e composte e la dissezione di tali strutture si opera solo con l’analisi.
La condensazione e la drammatizzazione (trasformazione dei pensieri in situazioni) sono le più importanti  caratteristiche del lavoro onirico, ma da sole non bastano a spiegare la dissomiglianza pensiero onirico - contenuto del sogno. Altre caratteristiche altrettanto importanti sono lo spostamento onirico e la simbolizzazione.

Per spostamento onirico, Freud, intende il trasferimento dell’intensità psichica dei pensieri e delle rappresentazioni su altri pensieri e rappresentazioni che per noi non dovrebbero essere evidenziate. Spesso l’elemento meno chiaro del sogno risulta invece essere il corrispondente diretto del pensiero onirico essenziale. Possiamo quindi dire che tale processo consiste nell’attribuire caratteri di un elemento ad un altro elemento nel sogno e questo è notevole nei sogni oscuri, difficili da interpretare.
I pensieri onirici vengono rappresentati per mezzo di paragoni e metafore, con un linguaggio vicino a quello poetico (simbolizzazione), e questo perché vanno adattati alla situazione pittoresca del sogno. Ogni concatenazione di pensieri è quasi sempre unita alla sua controparte contraddittoria e nel sogno spariscono tutti i nessi e i legami logici tra il materiale psichico. Questi legami successivamente vengono riprodotti dai sogni mediante approssimazioni di tempo e spazio, gruppi concettuali. La contraddizione del sogno, il conflitto, è spesso espressa come sensazione di inibizione dei movimenti che insieme a scherno e derisione ne costituisce l’assurdità dello stesso. Il lavoro onirico è dunque il processo di trasformazione dei pensieri del sogno nel contenuto del sogno.
In seguito Freud sostiene che nell’apparato psichico ci sono due agenti di creazione del pensiero. Il secondo fa accedere alla coscienza i suoi prodotti, invece, l’attività del primo è inconscia e diventa cosciente solo grazie al secondo. Al confine tra queste due istanze è posta una censura che lascia passare solo ciò che è gradito, mentre respinge il resto. In condizioni come il sonno, questa censura diminuisce il proprio lavoro rilassandosi e, quindi, il materiale rimosso riesce a farsi strada nella coscienza pur sempre mitigato dal ruolo della censura. Ciò che diventa cosciente è quindi un compromesso tra le due istanze (Rimozione – rilassamento censura – formazione di un compromesso).

A sostegno della tesi di Freud possiamo dire che il sogno è il custode del sonno; esso infatti soddisfa entrambi gli agenti: esegue una sorta di consumazione psichica del desiderio rimosso, rappresentandolo come appagato, e soddisfa anche l’altro agente, permettendo la continuazione del sonno. Ad esempio se uno stimolo esterno  agisce sui sensi del dormiente, questo, influenzando il contenuto del sogno non si sveglia, ma è inserito nel sogno in modo soggettivo, o si serve del sogno per liberarsi dallo stimolo. La censura è la principale causa della deformazione onirica. Dunque la maggior parte dei desideri degli adulti sono desideri erotici, soprattutto quelli che non mostrano un contenuto manifesto e si rivelano come realizzazione di desideri sessuali. Le pulsioni sessuali sono quelle sottoposte maggiormente a rimozione per via della civilizzazione a cui siamo andati incontro ed è questa la causa di questi desideri.

In sintesi il sogno rappresenta l'appagamento allucinatorio dei desideri. Le fonti dei sogni possono essere molteplici: stimoli endogeni (cioè fame o sete); episodi del giorno precedente in cui il desiderio sia stato represso; materiale inconscio; situazioni vissute nella prima infanzia; ecc.. . Durante la notte questi stimoli rafforzano i loro effetti per via della minore attività della coscienza, e hanno dunque l'occasione di emergere sotto forma di immagine onirica.

Il sogno, quindi, è tutt’altro che un’ invenzione fantastica della nostra mente, mentre si presenta come una proiezione dei nostri pensieri, dei nostri desideri, delle nostre angosce, che vengono affrontati dall’individuo nel vissuto interiore permettendogli così di andare avanti giorno dopo giorno.

Così Freud dimostra che l’interpretazione del sogno non è affatto semplice e banale, ma  si tratta di un lavoro abbastanza impegnativo poiché esso è un intreccio tra materiale reale e onirico.

riflessioni di Caterina Calabrese, 5 H



Il tema del sogno ha da sempre incuriosito ed affascinato l’essere umano che ha cercato inevitabilmente di spiegarne le origini e i significati. Nel libro “Il sogno” l’autore svolge un vero e proprio studio del sogno. Egli cerca di far riflettere il lettore e di coinvolgerlo nella analisi del sogno. Dimostra, infatti, che l’interpretazione del sogno non è affatto semplice. Esso è un intreccio tra materiale reale, ovvero definito da Freud “contenuto manifesto”(quella parte che viene raccontata dal sognatore al risveglio di quest’ultimo), e il materiale nascosto, ovvero “contenuto latente” (quella parte del sogno mascherata da elementi simbolici). Nel sogno, infatti, dei normali e comuni effetti come l’amore, l’odio, la tristezza possono essere fraintesi e descritti dal sognatore per quello che essi effettivamente indicano, mentre in realtà possono essere frutto della conversione nel contrario: l’amore può diventare odio (o viceversa), la tristezza può diventare gioia (o viceversa).
Infine si può affermare che il sogno non è che la rappresentazione dell’appagamento allucinatorio dei desideri.
La lettura del libro mi è risultata un po’ difficile poiché Freud fa un’attenta analisi di vari aspetti del sogno; comunque il tema mi ha molto incuriosito e mi ha spinto a leggerlo fino alla fine.




lunedì 15 settembre 2014

quale metamorfosi?

La metamorfosi

di Franz Kafka

riflessioni di Giusy Zagame, 5 L


Forse la mia interpretazione è lontana dalle reali intenzioni dell’autore, ma leggendo La Metamorfosi mi è parso di vedere nella trasformazione di Gregor quasi una fuga dalla vita, fatta di rinunce e costrizioni, da un lavoro che non lo soddisfaceva ma che era costretto a svolgere per mantenere la sua famiglia, interamente adagiata sulle sue spalle come una sorta di parassita. Il protagonista stesso a sua volta diventa un parassita inutile, che grava sulla sua famiglia. Il padre, figura dura e autoritaria, è il primo a dimostrare una violenta insofferenza nei riguardi del “figlio” ormai inutile, improduttivo e addirittura nocivo alla situazione economica familiare. La sorella, mostratasi inizialmente comprensiva, ben presto finisce per odiare anche lei e mostra di volersi liberare della mostruosa creatura in cui si è trasformato il fratello. A Gregor, divenuto ormai un peso inutile per la società, non rimane che lasciarsi morire. L’indigenza costringe i membri della famiglia a darsi da fare per mantenersi, ristabilendo così l’equilibrio. La perdita del figlio è quindi superata con fin troppo eccessiva facilità. Lo sbocciare fisico della sorella, e pertanto un suo possibile proficuo matrimonio, infine, apre nuovi orizzonti di profitto alla famiglia parassita.

 post di Desiree Sgroi,5 L

 I personaggi del racconto risultano avere numerose sfaccettature psicologiche:
- Gregor è un cosciente emarginato, escluso da qualsiasi forma di civiltà e di contatto. Pur conservando la sua sensibile umanità, egli non è considerato un essere umano e viene calpestato ed umiliato, allontanato e segregato, ed infine portato alla morte a causa della sua disperazione innanzi ad un tale dramma;
- La giovanissima sorella apparentemente risulta essere la sola che cerca, per quanto le sia possibile, di aiutare il fratello e i genitori. Il suo atteggiamento è ambiguo, ad un tratto all’interno della vicenda passa da “sostegno morale” e vera e propria antagonista del fratello tanto che lo condannerà alla morte.  Questo attira molto l’attenzione del lettore, sembra quasi che Kafka descriva due metamorfosi: l’una fisica, in Gregor; l’altra psicologica, in Grete.
- A differenza della sorella la madre rimane passiva, quasi fingendo di non voler capire cosa stesse succedendo attorno a lei.
- Il padre è una figura brutale, all’interno della narrazione non mostra piètà per la nuove sembianze del giovane e lo ostacola con la massima crudeltà.

Come in altri suoi scritti, Kafka mostra chiari riferimenti autobiografici legati all’universo familiare e professionale del personaggio. L’autore nega l’identità tra sé e Gregor, restando però in bilico tra un palese coinvolgimento emotivo e un totale distacco. Il legame risulta essere molto stretto: come sottolinea il critico Blinder in entrambi i casi i due giovani si trovano a farsi carico della situazione economica della famiglia stessa: da un lato Gregor che si ripromettere di estinguere il debito dei genitori e di offrire una vita migliore alla sorella; dall’altro l’autore stesso che si ritrova a lavorare fin da giovane a causa delle cattive condizioni di salute del padre che non gli permettono alcun tipo di occupazione. Nella figura di Gregor l’autore rispecchia la sua stessa paura e il suo stesso “Io”. La trasformazione può essere identificata come un distacco dal corpo e quindi dalla vita stessa, come se Kafka volesse indicare una vera e propria “ribellione” verso il pesante incarico finanziario. Gregor, ormai insetto, si isola dal resto, perdendo ogni connotazione umana, perfino l’espressione utilizzata - “pigolìo della voce”- implica l’impossibilità della comunicazione. La metamorfosi non viene vissuta nel racconto in modo attivo dalla famiglia e da Gregor stesso, bensì in modo passivo. Nessuno di loro si domanda come sia potuto accadere e nessuno cerca una possibile soluzione. Ma c’è qualcos’altro che lascia allibito il lettore: il personaggio vive quasi con naturalezza la sua nuova connotazione, cercando di adattarsi il più possibile anche se condannato al tragico destino,  mentre un alone tra spavento e ripugnanza sommerge la sorella e i genitori.

All’interno del racconto non risulta difficile distinguere un certo masochismo. Lo stesso finale risulta impeccabile, inaspettato per giunta, ma allo stesso tempo agghiacciante: le reazioni dei parenti non lasciano trapassare alcun sentimento di dolore, dispiacere o commozione, come se la morte di Gregor fosse solo qualcosa di atteso, non di inaspettato, che porterà ad un equilibrio familiare e ad una nuova vita.
La cosa più strabiliante di Kafka è la sua capacità di nascondere sotto una storia apparentemente semplice e lineare un gran numero di sfaccettature così sottili e profonde da richiedere una grande attenzione durante la lettura ed è proprio questa una delle cose che più mi ha affascinato.
 In questo esemplare racconto del Novecento, a mio parere, Kafka unisce numerosi aspetti: la discriminazione, il rapporto padre-figio, il senso di angoscia e di esclusione, la distanza dal mondo ed ovviamente il surreale, l’assurdo, il mostruoso, dando così voce al disagio - in questo caso di Gregor che ricercando della felicità scoprirà invece l’indifferenza - ma anche alla non accettazione del diverso, alla discriminazione e all’incapacità dell’uomo di provare umanità per i suoi simili.

riflessione di Roberta Grancagnolo, 5 B

La grandezza di quest' opera, secondo me non sta puramente nell’allegoria utilizzata dalla scrittore, ma nel modo quasi brutale con cui ci viene proposta. Egli non fa una similitudine tra Gregor e lo scarafaggio: Gregor è lo scarafaggio. Non si tratta più solamente di un’analogia ma egli ci pone davanti ad una “realtà”, ad una condizione che coinvolge non solo il diretto interessato, ma anche tutti coloro che gli stanno intorno...


....e di Lidia Raiti, 5 B

E’ molto chiaro nel secondo capitolo del racconto, il ruolo che giocò il padre di Kafka nella sua vita ovvero un ruolo di continua contrapposizione e ribellione dovuta anche al luogo e al periodo in cui l’autore visse. Non è un caso che, in seguito alla metamorfosi,  i familiari non riescano più a comprendere ciò che Gregor pronuncia con la sua “voce di bestia”, mettendo dunque fine a qualsiasi tipo di comunicazione. Le uniche discussioni che Gregor intrattiene sono quelle fra sé e sé e l’unico contatto che ha con ciò che c’è fuori dalle quattro mura della sua stanza è la musica suonata dalla sorella la quale, stranamente, lo commuove e rappresenta nutrimento per il suo spirito.
La sorella, che inizialmente è l’unica ad avere contatti seppur sporadici con Gregor, è la prima a volersi liberare di lui quando la sua situazione peggiora. La ragazza è cresciuta, è diventata “una bella e florida giovinetta” già pronta a trovar marito e la figura di Gregor è diventata ormai un inutile peso per lei e così come per la famiglia; ciò viene testimoniato dalle uniche parole di sollievo e liberazione del padre alla vista del cadavere del figlio «Be’, » disse il signor Samsa, «possiamo ringraziar Dio. ».

Nelle ultime pagine del libro dedicate  agli eventi successivi alla morte di Gregor, quest’ultimo non viene più neanche nominato; ciò suggerisce ancor di più l’indifferenza della famiglia per l’evento e la voglia di lasciarsi tutto alle spalle, quasi come se nulla fosse mai accaduto.

riflessione di Giulia Casella, classe 5 B
Gregor una mattina si sveglia e non sa più chi è, è diverso, non si riconosce più.
Il racconto di Kafka inizia più o meno così, mettendo in evidenza una situazione di cambiamento nella quale il protagonista del libro si ritrova, suo malgrado.
L'elemento narrativo che prevale secondo la visione critica è quello del surreale, poiché Gregor non è più un uomo ma un insetto, e tutto il racconto prosegue sulla fase di accettazione e adeguamento della sua nuova condizione.

La nuova condizione di Gregor non è però una novità, è parte della vita di ognuno di noi poichè  a tutti capita di svegliarsi un giorno e scoprirsi diversi, magari totalmente diversi da ciò che si credeva di essere, e succede che si ha paura.

Quello che capita al protagonista è una presa di coscienza, una lotta per l' accettazione di un nuovo modo di essere, che però a causa della condanna sociale non ha successo e Gregor, in preda al senso dell'angoscia che ritorna innumerevoli volte, decide di morire.

Il fatto che Gregor muoia un po' per volta non è certamente un caso, secondo la mia lettura, poiché è quello che facciamo un po' tutti: adeguandoci, lasciamo che la vita ci passi addosso, restiamo impotenti davanti ad essa, inermi, come se non avessimo le armi per combattere, per lottare per noi stessi, per la nostra natura.

E Gregor non lotta, Gregor resta a casa, vittima delle paure degli altri, vittima della sua paura di essere diverso. Gregor è quella parte di noi che si ferma davanti al giudizio degli altri, che non è in grado di fare un salto di qualità nella propria vita, che non si riscatta per paura della solitudine.

riflessione di Alessandra Libanan, 5 B

 I temi affrontati da Kafka nella "Metamorfosi" sono: il senso di tristezza e angoscia, l'alienazione dalla società e dunque l'essere diverso, la problematica del rapporto padre-figlio e infine il surreale. Gregor, il personaggio-insetto, non sembra preoccuparsi molto del suo aspetto, ma ciò che più lo turba è il fatto che non sarebbe riuscito a portare  a termine i suoi doveri come figlio e come impiegato ed è forse  questo il motivo della sua metamorfosi, il fatto che in lui si sia mostrato il suo vero "io"", una sorta di ribellione da parte sua nei confronti della società e della sua solita routine. Il problema nasce dal fatto che, per la società e la sua famiglia stessa, egli è come un parassita, del quale bisogna sbarazzarsene il più presto possibile.
Tuttavia capendo da solo che la sua esistenza non è molto gradita egli compirà l'ultimo gesto estremo con il suicidio, lasciando così ai suoi familiari un senso più di sollievo che di tristezza.

riflessione di Nino Calì, 5 B

Il libro "La metamorfosi" di Kafka mi ha subito incuriosito già dal titolo e,in seguito, sentendone parlare positivamente da alcuni miei amici e visto il compito da lei assegnato, ho deciso definitivamente di cominciare a leggerlo. Si tratta di una storia particolare che, pur essendo relativamente breve, necessita di attenzione per capirne davvero il significato. Infatti a primo impatto, e considerata la trama particolare, non è facile coglierne il senso, che si può capire a fondo a mio parere solo attraverso qualche accenno alla vita e al pensiero di Kafka.  Solo così ho cominciato a capirne a pieno la trama. Ciò che mi ha maggiormente colpito è l'abilità che dimostra l'autore  nell'introspezione metaforica della sua opera, infatti il libro si può considerare come un'unica grande metafora in cui Kafka stesso "nasconde" molti particolari che lo riguardano personalmente. Ad esempio, la metamorfosi che compie il protagonista, l'angoscia della famiglia che ne deriva e il sollievo che quest'ultima prova dopo la morte del personaggio principale. Kafka reputa questa situazione analoga a quella che si verifica quando si ha un familiare malato, inizialmente accudito e sostenuto, ma che in seguito diventa inesorabilmente un peso per tutti e la cui morte, per quanto poco eticamente corretto possa essere, viene presa quasi come una liberazione. Consiglio questo libro a chi è in cerca di una lettura particolare e per nulla scontata.



L'arte di ottenere ragione




 di A. Schopenhauer, scritti postumi

relazione di Alexandra Apetrei (con al fianco il piccolo Marcus), 5 B



Il filosofo Schopenhauer indica nell'opera una serie di stratagemmi per ottenere sempre ragione nelle dispute dialettiche. A mio parere si tratta  dei "trucchi" di cui si serve la natura umana quando è in preda alla paura di soccombere. Infatti, durante  una lite, la nostra mente riflette su come ottenere ragione. In caso non l'avessimo di già, il nostro intelletto riflette subito su come  averla. Tutto ciò perchè l'uomo quando litiga non pensa al fine piu pacifico, ovvero capire il problema della lite, per analizzarlo e poi trarne gli insegnamenti. L'uomo quando litiga immagina di essere in un ring di fronte all'avversario e cerca di colpire e parare i colpi per poi sfinire l'avversario. Purtroppo è questa la dura realtà. Nessuno ama  il quieto vivere, nessuno cerca  la pace, il silenzio, il benessere dell'anima e questo Schopenhauer l'aveva capito già due secoli fa. 

Una citazione araba (bellissima a mio parere) recita cosi : "Il frutto della pace è appeso all'albero del silenzio". Mi piacerebbe vivere in un mondo governato dalla pace e mi amareggia capire che non è possibile perchè ognuno vuole tutto per sè , cerca di migliorare la sua condizione e per questo ricorre anche  alla cattiveria  e semina solamente odio. 

Ho letto questo "mini-libro" perchè già dal titolo mi incuriosiva. Io sono una persona dall'indole  pacifica e cerco di migliorare sempre me stessa ma non per essere sempre più cattiva, bensi per lasciare dietro me una traccia di pace. Ancora ho tante esperienze da fare e tanti anni da vivere ( spero non da SOPRAVVIVERE :) ma so che vorrei invecchiare e diventare più saggia e non lasciarmi conquistare dalla malizia perchè la pace interiore trasmette una  felicità tale che si vorrebbe averla per sempre. 

Forse ho divagato un po' ma con l'arrivo di mio figlio la mia vita è ritornata un po' indietro e ogni tanto mi piace tornare bambina con lui e trarre momenti felici dalla semplicità. Vedo mio figlio sorridere per cose assolutamente semplici, come lo scoprire un bicchiere oppure sentire la nonna cantare, e cerco anch'io di essere felice per le cose semplici anche se apparentemente banali. 
Lascio da parte cattiveria e malizia per disintossicarmi dalla brutta realtà in cui vivo.


riflessioni di Siria Magro, 5 H
 
Dopo aver letto in maniera scolastica questo libro ho compreso che avere ragione è un'arte. Perchè proprio la parola arte? Innanzitutto arte nel suo significato più ampio comprende delle forme creative di espressione estetica che poggiano su accorgimenti tecnici, abilità innate e norme comportamentali derivanti dallo studio e dall'esperienza. Questo è proprio quello che fa Schopenhauer: lui dà delle regole che chiama anche "princìpi di una scienza" che spaziano dalla nobile disamina delle parole fino ad astuzie retoriche derivanti dal suo studio filosofico ma sopratutto dalla sua esperienza personale.



Nei giorni successivi alla mia lettura però non mi sono soffermata solo sulle parole scritte nel libro, ma ho pensato...

Nella vita di tutti i giorni è necessario ottenere sempre ragione?

Perchè la nostra mente pensa sempre a come ottenere ragione e non a come agire in modo razionale e pacifico ?

L'uomo tende spesso a sopraffare l'altro, a sentirsi superiore e al posto di cercare un punto d'incontro finisce sempre per cercare " il punto d'orgoglio".

Quest'opera mi ha trasmesso non solo delle conoscenze dal punto di vista filosofico ma anche dal punto di vista morale perchè "L'umiltà ci rende forti, e poi sapienti; l'orgoglio, deboli e stolti."

continua Jessica Marano, classe 5 B 

 
...La verità cede il passo alla vanità; proprio essa spinge l’uomo a non accettare di aver torto e a confutare la tesi dell’avversario in modo da ottenere la ragione, con mezzi sia leciti che illeciti (per fas et nefas). 

L’ultimo stratagemma mi ha colpita in particolare; in parole molto semplici esso ci dice che quando l’uomo percepisce di aver torto, cerca di  allontanarsi dall'oggetto del discorso, mirando l’avversario e attaccandolo in modo offensivo, oltraggioso e grossolano. Questo mi ha fatto comprendere come l’uomo si comporta di fronte ad una sconfitta e, soprattutto, come la natura animale riemerga per sopraffare il lume della ragione. 

Ho avuto modo di ragionare e crearmi un’idea generale grazie alla lettura di questo libro che, pur non essendo molto esteso nella forma, lo è invece nel contenuto.
Penso che l’uomo sia un divoratore, accecato dalla presunzione di voler la ragione dalla sua parte. Se non la si ha, bisogna affrontare l’umiliazione della sconfitta. Essa è un brutto boccone da mangiare giù. Umiliazione vuol dire amarezza, disonore e mortificazione. Ci dice Schopenhauer che “nulla supera per l’uomo la soddisfazione della sua vanità, e nessuna ferita duole più di quella in cui viene colpita la vanità”.
 L’uomo non accetta di aver torto e di abbassare il capo. Credo che alla base di tutto ciò ci sia la paura di essere subordinati al pensiero di un altro , di non essere accettati, di non potersi guadagnare l’ammirazione del prossimo.

Secondo me l’accettazione è segno di maturità, comprensione e pace. Riferendomi a quest’ultima, ne approfitto per riportare un detto arabo il quale ci dice che “il frutto della pace è appeso all'albero del silenzio”. 
Vorrei, se solo fosse possibile, permettere alla mia umiltà di aggrapparsi a quell'albero e raggiungerne la cima.

riflessioni di Rosaria La Rosa, 5 B

 Ho scelto di leggere “L’arte di ottenere ragione” di Schopenhauer perché pensavo mi potesse essere utile nella quotidianità della vita. Ritenevo che questo “trattatello” mi potesse aiutare a difendere le mie opinioni e convinzioni nei  rapporti interpersonali. Mi aspettavo di trovare dei suggerimenti su come poter affrontare una discussione con altre persone per non cedere davanti alle opinioni altrui e affermare la mia ragione. Dopo averlo letto mi sono resa conto che l’opera potrebbe certo tornarmi utile in determinate situazioni; ho capito che gli stratagemmi, pur essendo tutti validi, non sono tutti facilmente utilizzabili in tutte le circostanze della vita di ogni giorno. A mio parere tra i più semplici da mettere in pratica vi sono certamente il tredicesimo, che consiste nel presentare l’opposto della propria tesi, e il ventisettesimo, che punta a sfruttare la rabbia dell’avversario; ciò perché, secondo me, oggi è più facile sfruttare queste debolezze, in quanto più istintive che razionali, e più vicine al mio modo di agire. Tuttavia, pur condividendone le motivazioni che lo portarono a scrivere questo trattato, vorrei dissentire fondamentalmente da Schopenhauer poiché ritengo che non necessariamente si debba avere ragione quando non la si ha.

domenica 14 settembre 2014

Voltaire: la tolleranza

Trattato sulla tolleranza

Voltaire, 1763






Il “Trattato sulla tolleranza”, un'opera di polemica civile e politica, con una forte vena malinconica, è una delle opere più famose di Voltaire.                                    
Il libro si apre con la vicenda di Jean Calas, negoziante ugonotto, che viveva con la moglie e i figli a Tolosa, in Francia. Il figlio maggiore Marcantonio aveva studiato legge e non riusciva a trovare lavoro perché era di un’altra religione e così decise di convertirsi. La sera prima del battesimo del figlio primogenito la famiglia era riunita a cena ma dopo aver mangiato lo trovarono impiccato. Davanti casa si radunò una folla di persone e iniziò a diffondersi la voce che Jean Calas aveva ucciso il figlio per impedirgli di convertirsi al cattolicesimo e di avere poi inscenato il suicidio con l’aiuto della famiglia. Nonostante la mancanza di prove, il padre fu condannato a morte per ruota.

Voltaire, molto colpito dall'avvenimento, scrisse subito un vero e proprio trattato sulla tolleranza. Siamo nell'Illuminismo e  gli uomini erano portati a cercare di far prevalere la ragione su tutto e quindi anche sulla religione e le differenze religiose (anche se Voltaire si propone come un cattolico, quindi non è ateo, ma promuove la tolleranza).                                     
A Tolosa intorno al 1762 c’era ancora una forte tensione tra cristiani, cattolici e ugonotti. Questa famiglia infatti su accusata più per una ragione di intolleranza sociale che per delle vere e proprie prove.

Voltaire fa diversi esami anche storici: si chiede se gli Ebrei siano un popolo tollerante, si chiede se Gesù abbia insegnato la tolleranza ( il trattato che lui scrisse aveva uno scopo educativo ma allo stesso tempo suscitava tante domande). Il filosofo sostiene che l’intolleranza non è astratta: chi dice che è generata da tutti, mente. L’intolleranza si nutre dell’ignoranza. L’intolleranza che molto spesso abbiamo non è la stessa per tutti gli uomini, ogni persona è più o meno intollerante su diverse cose. Lo stile di Voltaire, così come i contenuti, sono attualissimi. Infatti per il filosofo il progetto di rinnovamento politico e civile delle coscienze si rifletteva in un parallelo progetto di rinnovamento stilistico e letterario: abbandona ogni convenzione retorica a favore di un linguaggio semplice e diretto.                                                                                                   
Voltaire porta testimonianza delle prove di tolleranza date da altri popoli,  operando un confronto con differenti paesi europei secondo quello spirito squisitamente cosmopolita che voleva gli illuministi aperti all’incontro con l’altro e con il diverso. Il filosofo fa appello alla capacità di ragionare di ognuno di noi, mostrando fiducia e una visione positiva dell’uomo, spinto dall’ottimismo che nutre nelle spontanee facoltà razionali del genere umano.       
              
Voltaire conclude la sua opera rivolgendo una preghiera a Dio affinché gli uomini non si odino a causa delle loro differenti idee religiose ma, al contrario, si amino e si sentano fratelli.

Federica Arcidiacono, 4 E

Il Manifesto di Marx ed Engels

Il Manifesto del Partito Comunista
(K. Marx, F. Engels; 1848)
 

post di Roberto Testa, 5 H


Il “Manifesto del Partito Comunista” è un saggio politico a scopo informativo e divulgativo che ha principalmente la funzione di descrivere i princìpi e i progetti del partito comunista. Il punto di forza del libro è l’attentissima analisi storica da parte dei due filosofi.
Il libro è diviso in 4 capitoli : Borghesi e proletari; proletari e comunisti; letteratura socialista e comunista; la posizione dei comunisti rispetto ai diversi partiti d’opposizione.
Il punto di forza del libro è il primo capitolo : i due filosofi, illustrano il corso della storia dopo averlo studiato ed analizzato attentamente da due parti, quella borghese (oppressori) e quella proletaria (oppressi), intendendo per borghesi i capitalisti moderni (da patrizi a baroni, da mastri a feudatari) e per proletari i moderni lavoratori salariati (da schiavi a plebei, da servi a garzoni) . Tra borghesi e proletari c’è un conflitto (“lotta di classe”) che è sempre esistito, poiché i borghesi sono i proprietari dei mezzi di produzione e hanno bisogno di produrre (quindi di far lavorare operai) per arricchirsi e far andare avanti il mercato, mentre gli operai sono costretti a “vendersi” attraverso il lavoro per poter vivere. A poco a poco, però, anche attraverso  rivoluzioni sociali, culturali ed economiche, il proletario prende coscienza del fatto che è sfruttato, malpagato e che le sue condizioni di lavoro spesso e volentieri sono molto scadenti e allora prova a ribellarsi, alla ricerca di una dignità propria e magari, di un aumento del salario. In questo cammino di crescita, trova altri “compagni” e colleghi con le sue stesse idee di rivoluzione e con i suoi stessi problemi nel lavorare e quindi nel vivere : da questi incontri nasce l’unione, quindi nascono le prime associazioni di proletari e di operai e a poco a poco si riescono a creare veri e propri partiti di lavoratori che combattono giornalmente per una società equilibrata e democratica. E’ la nascita del comunismo, la nascita di una coscienza della parte di umanità oppressa da chi vuole sottomettere il più debole (economicamente, politicamente e fisicamente).  Il comunismo a questo punto ha bisogno di avere dei “punti cardinali” attraverso i quali orientarsi, e allora i due filosofi nel secondo capitolo inseriscono una lista di 10 misure da applicare per “fondare” una società comunista; le più importanti sono : 

Abolizione della proprietà privata; Creazione di una banca nazionale con monopolio esclusivo; Accentramento dei mezzi di trasporto e delle fabbriche nelle mani dello stato; Obbligo di lavoro per tutti; Istruzione pubblica e gratuita per tutti i bambini. 

Ma per far sì che la società diventi comunista, occorre sopprimere la classe dominante (borghesia) attraverso una rivoluzione, quindi Marx invita i proletari (che intanto, a causa dello sviluppo dell’industria e dell’economia, aumentano di numero) a rivoluzionare il sistema e a prendere il potere. Ma una volta preso il potere, per evitare che i proletari diventino borghesi e che quindi si ritorni al punto di partenza, l’ormai “dittatura proletaria” dovrà stare ben attenta e quindi rispettare quella lista di misure accennata prima, attraverso la quale riuscirà a concentrare la produzione nelle mani degli individui associati e non nei singoli, il potere pubblico perderà il suo carattere politico, quindi si riuscirà ad eliminare la lotta di classe, perché si avrà una “associazione in  cui il libero sviluppo di ciascuno è la condizione per il libero sviluppo di tutti” [II. Proletari e comunisti, p.37]. 
Un altro punto importante del libro è la dialettica : Marx sia attraverso il ben parlare che attraverso l’apologia del comunismo (dalle accuse lanciate da parte dei borghesi, vedi cap.2) riesce a far comprendere ancora meglio la vera essenza del comunismo e riesce a persuadere chi legge perlomeno a riflettere su queste cose, poiché la società tuttora è capitalistica, consumistica, comandata da banche e da multinazionali in mano a privati, e il libro è attuale : solo con una rivoluzione da parte della classe oppressa che ormai è numericamente in maggioranza rispetto alla classe dominante si può provare a cambiare la società che purtroppo è diretta verso un vicolo cieco che ci porterà alla rovina e al degrado, e quindi, alla fine, poiché avremo la classe dominante sempre più ristretta e ricca e la classe oppressa sempre più numerosa e povera. 

Con l’aumento demografico, aumenta il bisogno di produrre e di consumare, quindi di vendere: a questo punto, il capitalista deve guadagnare di più per espandere i mercati e non può aumentare gli stipendi al proletario, perché i costi dell’industria salirebbero e le merci avrebbero prezzi troppo alti. Ma allo stesso tempo, senza un salario adeguato, il proletario non può nemmeno comprare ciò che è essenziale per vivere. E proprio il proletario deve sfruttare questo momento : si avranno crisi di sovrapproduzione, dato che nessuno potrà più comprare niente e il capitalismo andrà in frantumi, e, proprio in questo momento, i proletari dovranno prendere il potere per capovolgere la situazione.
L'opera si chiude con un appello : “Proletari di tutti i paesi, unitevi!”
E’ un grido all’internazionalismo proletario, è un grido all’unione dei comunisti, all’associazione e alla preparazione della presa del potere che, in seguito all’analisi storica descritta nel libro, non tarderà ad arrivare, poiché prima o poi il sistema capitalistico crollerà attraverso le sue stesse mani (“Non sarà in grado di dominare, perché non sarà in grado di garantire la vita al proprio schiavo neppure entro i limiti della sua schiavitù, perché è costretta a farlo sprofondare in condizioni tali da doverlo poi nutrire anziché essere nutrita da lui” 1. Borghesi e proletari, p.22).

Vorrei chiudere la relazione con due espressioni che per me racchiudono l'ideale comunista :  
Il comunismo non è una dottrina ma un movimento; non muove da princìpi ma da fatti. I comunisti non hanno come presupposto questa o quella filosofia, ma tutta la Storia finora trascorsa e specialmente i suoi attuali risultati reali nei paesi civili. 
[F. Engels, ( Deutsche- Brusseler- Zeitung n. 80 del 7 ottobre 1847)] 

Chiamiamo comunismo il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente.  
(Karl Marx e Friedrich Engels. L'Ideologia tedesca, 1846).

prosegue Graziana Arcifa, classe 5 B

Ho confrontato le mie opinioni con la mia compagna Jessica l'altro giorno poiché anche lei ha letto questo libro. Per lei il testo era molto facile da comprendere, per me non lo è stato affatto. Ho acquistato il volume qualche mese prima della fine della scuola poiché era parte del programma di storia dell'anno scorso (il 1848) e dunque mi ha incuriosito, ma non ho cominciato subito a leggerlo. Poco tempo dopo ho letto dalla  lista della professoressa che questo libro era fra quelli consigliati per le letture estive e dunque ho deciso di cominciare a leggerlo. Non è stato semplice poiché non sono abituata a leggere testi del genere. Tuttavia la lettura del libro mi ha aiutata a comprendere meglio il rapporto fra le classi sociali del tempo, ma soprattutto ha risposto ad una mia domanda che mi aveva spinto a leggere il libro, e cioè "cos'è il comunismo? E' vero ciò che dice la gente a riguardo?" Dunque la lettura del libro mi ha aiutato a dare maggiori risposte e soprattutto spero sia stato utile a prepararmi al programma di storia che svolgerò quest'anno, ovvero lo studio del  '900

 riflessione di Jessica Zappalà, 5 B


Ho scelto di leggere questo libro per curiosità. Ho tanto sentito parlare durante la mia carriera scolastica di ‘comunismo’, ma non ho mai avuto forse il tempo  di estendere la mia conoscenza sull' argomento se non leggendo dei libri molto interessanti che avevano uno sfondo storico caratterizzato da questo movimento rivoluzionario. Una cosa che mi ha molto affascinato da sempre è la possibilità di uguaglianza sociale che ritrovavo sovente in questo argomento; forse è anche per questo che ho optato per questo libro in mezzo ad una lista di titoli altrettanto interessanti offertaci dalla  lista di letture estive.

Mi sono da sempre chiesta perché nel mondo esistessero delle disuguaglianze che comportavano stili diversi di vita e cambiamenti tal volta incisivi nella vita di ognuno rispetto ad un aspetto emblematico qual è quello del denaro nella nostra società; in poche parole mi chiedo perché esistono i ricchi e i poveri. E da cosa dipende questa divisione? (detto in maniera molto superficiale).

Questo libro, ha destato in me tanta curiosità perché ero certa di trarre almeno qualche chiarimento rispetto queste problematiche.
Il comunismo tra i suoi tanti scopi l’abolizione della proprietà privata, tipica del periodo borghese; questo scopo va di pari passo con la volontà di creare una società eguale in stile di vita, nazionalità, lavoro e produzione. Non si cadrà così fosse nel baratro dell’omologazione ?(tema molto attuale).I metodi con i quali Marx ed Engels si ripropongono di arrivare a  questi e ad altri scopi del partito operaio, sono però per certi aspetti preoccupanti: è giusto, dopo aver detestato l’oppressore borghese, succube del capitale, passare dall’essere un oppresso all’essere, anche solo per una prima fase, una dittatura? I due filosofi dicono infatti che l’unico modo per far accadere la rivoluzione che loro aspettano, è quella di intervenire ‘per mezzo di interventi dispotici nel diritto di proprietà e nei rapporti borghesi di produzione’; questo è l’unico modo per il sovvertimento dell’intero sistema produttivo a favore del ceto operaio pronto a prendere il posto al vertice del potere politico… ma, il potere politico non è altro che ‘il potere organizzato di una classe per l’oppressione di un’altra’?

E’ probabile che io abbia questi dubbi perché, anche avendo letto a fondo queste poche pagine, non conosco l’andatura globale del periodo storico nel dettaglio, e non ho ancora delle nozioni filosofiche che mi aiutino nella comprensione del messaggio degli autori.

Sono però molto contenta della scelta dell'opera, in quanto ha accresciuto ulteriormente in me la curiosità e la voglia di saperne di più su questo fenomeno storico molto importante. Nel libro è spiegato in maniera eccellente il motivo della sicura disfatta borghese, ma la società odierna mi ricorda molto la descrizione del libro e i gap presentati da esso di questa affrettata svolta economica; dunque storicamente, esiste la fine del ceto borghese?
Queste sono risposte a cui potrò accedere solamente documentandomi nel corso di quest’anno scolastico. 

sabato 13 settembre 2014

simposio virtuale sulla felicità









Un simposio virtuale sulla filosofia di Epicuro e la sua esortazione alla felicità. Partecipano all'incontro gli studenti della 4 E. 

Ascoltiamoli.......



Tra la fine del IV e l’inizio del III secolo a.C ad Atene emerge la figura di Epicuro, la cui dottrina ha avuto una grande influenza sulle scuole di pensiero successive. Tra i pochi scritti che ci sono pervenuti vi è una lettera 'A Meneceo', il più famoso testo di Epicuro, incentrato sui temi fondamentali della filosofia epicurea, quali la ricerca della felicità, la natura divina, la morte, la classificazione dei desideri e dei piaceri.
Il testo si apre con l'esortazione alla filosofia. L'attività del filosofare è per Epicuro la "medicina dell'anima": un fare che mira al conseguimento di una condizione di benessere. Filosofare è sempre utile, per vecchi e giovani, poichè il suo scopo principale è quello di aiutare l'uomo nella ricerca della felicità e tutti gli uomini anelano ad essere felici, a qualsiasi età. [...]«Bisogna dunque esercitarsi in ciò che può produrre la felicità:se abbiamo questa possediamo tutto; se non la abbiamo, cerchiamo di far tutto per possederla».
Fabiola


Nell'epicureismo la prima condizione perchè si realizzi il movente dell'agire umano, ovvero la felicità, è assicurarsi un "punto di vista" esterno all'azione stessa affinchè l'individuo possa scegliere consapevolmente come gestire la propria vita.
Per scoprire la dissennatezza umana, occurre dunque distaccarsi dal mondo. Questo invito all'allontanarsi dagli affari mondani non è tuttavia da intendersi come un invito all'individualismo, considerando anche che uno dei massimi valori predicati da Epicuro è l'amicizia. Esso è in realtà l'indicazione per il raggiungimento di una condizione atta al pensiero assennato, da cui si originano tutte le virtù.

Marika



Epicuro condanna coloro che predicano ai giovani di vivere bene e agli anziani
di concludere bene la loro vita, poiché è una sola l'arte del vivere bene e del
morire bene. Egli vede la felicità come l'assenza di sofferenze del corpo e
dello spirito e non il semplice accumularsi di piaceri.

Stefania

...Epicuro esorta Meneceo, destinatario della sua lettera, a praticare la Filosofia.
E’ interessante il verbo. Il filosofo non usa il verbo conoscere. Per lui bisogna vivere, pensare ed agire da filosofi.

Marco

Nella lettera la felicità è intesa come il fine ultimo della vita che coincide con il Bene ed è dunque vista come un piacere "catastematico" che consiste nella privazione di dolore fisico e spirituale al contrario oggi si vede la felicità solo come un piacere personale volto a soddisfare i propri desideri. Infatti noi tutti riusciamo a trovare la felicità solo in quell'attimo, in quell'istante in cui tutto va "per il verso giusto", quell'attimo in cui ci sentiamo appagati perchè siamo riusciti ad esaudire un nostro sogno, quell'attimo in cui stiamo con la persona che amiamo, siamo felici per quel bel voto preso a scuola, per i vestiti nuovi, per il telefono nuovo ma poi finita la gioia per la novità, finito quell'attimo che fine fa la felicità? Non facciamo altro che vivere sempre con l'amaro ricordo di quel momento felice e il desiderio di una "nuova felicità" perchè come dice Epicuro quando siamo felici è come se non ci manca nulla, ma quando perdiamo la felicità facciamo di tutto per ritrovarla!
 Serena
L'uomo liberato dalle angosce può raggiungere la serenità dell'animo e quindi la felicità. L'uomo necessita di felicità quando quest'ultima non c'è , ma deve essere comprensibile che la felicità si raggiunge con poco e siamo noi a scegliere la nostra sorte 
Clara 

 Occorre limitare la soddisfazione ai soli desideri naturali e necessari, in quanto gli altri sono insaziabili, privi di limite e incapaci di condurre al piacere. Chi è consapevole di tutto questo, si è liberato dalle false paure, sa quale è il piacere da perseguire, ha raggiunto la saggezza.

Antonio

 Il principio di una vita felice è il piacere,e in base al sentimento noi facciamo delle scelte che possono darci più o meno piacere;spesso preferiamo scegliere un dolore che può durare per un determinato periodo,ma che successivamente porterà grande piacere e soddisfazione;i piaceri possono essere associati al bene se questi comportano un animo sereno e aiutano il corpo a non soffrire,vanno rifiutati se portano sofferenze all’animo. 

Carlo
Epicuro afferma anche che il fato non è padrone di tutto in quanto le cose accadono o per necessità o per arbitrio della fortuna o per arbitrio nostro, ma la necessità è irresponsabile, la fortuna instabile e il nostro arbitrio è libero.
Infine termina dicendo che sarebbe meglio essere saggi senza fortuna che fortunati,ma stolti o che un bel proggetto non vada in porto piuttosto che abbia successo,ma sia dissenato. Bisogna meditare sempre su tutto questo così che non sarai in preda all'ansia e vivrai come un Dio fra gli uomini, in conclusione dico che su molte cose sono d'accordo con Epicureo, grande filosofo che pur essendo di un'altra epoca riesce a trasmettere pensieri che tutto oggi possono ancora essere considerati. 
Giorgia
.. Per raggiungere la felicità bisogna cercare il piacere dell'anima e del corpo...
Francesca 
......Epicuro loda la saggezza come la più importante delle virtù, senza la quale non sarebbe possibile vivere un’esistenza felice. 
Silvia
Consideriamo un grande bene l'indipendenza dai desideri non perché sia necessario avere sempre soltanto poco, ma perché se non abbiamo molto sappiamo accontentarci del poco. Siamo profondamente convinti che gode dell'abbondanza con maggiore dolcezza chi meno ha bisogno di essa e che tutto ciò che la natura richiede lo si può ottenere facilmente, mentre ciò che è vano è difficile da ottenere.  “  

Il vivere felici, non temendo gli Dei e la morte, sapendosi accontentare di poco e sopportando i dolori poichè quando essi cesseranno ritorneremo ad uno stato di piacere, ci rende simili agli immortali.
Il pensiero di Epicuro è attualissimo e condivisibile.

Daniele
Ci viene istintivo porci una domanda :“possiamo invece temere ciò che precede la morte,ossia la malattia e la sofferenza?”. Epicuro risponde a questa domanda affermando che, qualora l’uomo si trovasse nella situazione di provare dolore, questo sarebbe facilmente sopportabile. Nella visione epicurea vedo una forte positività che rende i suoi insegnamenti più leggeri ed accettabili, anche se nella società odierna sono forse poco praticabili. La paura è ormai insita nell’uomo, quasi una sua parte complementare e il raggiungimento della felicità è spesso visto come una meta tanto lontana da sembrare quasi un’illusione. Un’altra argomentazione sostenuta da Epicuro sulla quale mi trovo molto d’accordo riguarda i piaceri e i bisogni della vita. Sostiene infatti che non servano grandi eccessi per essere felici: il benessere risiede infatti nelle piccole cose che, se sapute assaporare, ci portano all’appagamento dell’animo. 

Margherita C.


....Sicuramente oggi il piacere viene intenzionalmente ricercato con ogni mezzo da ciascun individuo, come se il godimento sfrenato del piacere lo prolunghi all’infinito. In particolare, noi ragazzi cerchiamo emozioni forti, ritenendole le sole in grado di colpirci. Del resto tutta la pubblicità e il marketing sfruttano  queste debolezze umane per vendere prodotti che regalano illusioni di felicità. Il miglior insegnamento che si può trarre da questa lettera di Epicuro è che comunque, bisogna porsi dei problemi, non dare tutto per scontato ed analizzare criticamente ogni cosa. Forse così potremo superare le ansie e le preoccupazioni che avvolgono l’esistenza. La ricerca spasmodica del piacere attualmente ci spinge a trovare subito delle risposte per tutto, ma la filosofia ci abitua a farci delle domande per formulare giudizi. 
Damiano

La conclusione della lettera si basa sul riassumere i punti essenziali della lettera. La lettera si conclude infine  con una delle più belle frasi di Epicureo: “Poiché in  niente è simile a un mortale l’uomo che viva fra beni immortali”. Con questa frase Epicureo ci conduce al centro della sua filosofia, il raggiungimento di una felicità che ci rende come dei in terra.


Sergio

...Ho apprezzato il modo in cui Epicuro in questa lettera, attraverso la presentazione del quadrifarmaco (complesso di quattro regole fondamentali per raggiungere la felicità), vuole liberare gli uomini dalle paure comuni, come la morte, la quale è solo una conseguenza del fatto che noi non ci siamo più; gli dèi, materia perfetta e quindi inconciliabile con la nostra imperfezione; il dolore fisico, che non è destinato a durare in eterno; o la mancanza del piacere, la quale è sopprimibile solo attraverso l’eliminazione dei desideri inutili.

Serena P.


Mi trovo d'accordo con gli insegnamenti di Epicuro poichè è giusto calcolare e decidere quali sono le giuste decisioni da prendere facendo ricorso al giusto mezzo della prudenza, non lasciandoci attrarre da tutti i piaceri ma cercando comunque di vivere in modo saggio ed equilibrato ogni situazione evitando dei mali che porterebbero solamente al turbamento fisico e psicologico.

Silvia V. 

Che cos’è la felicità?
Questa è certamente una domanda le cui risposte potrebbero essere molte e varie. La felicità è, secondo me, una profonda sensazione di appagamento interiore, sentiamo questo stato d' essere dentro di noi ogni volta che prendiamo una decisione giusta, ogni volta che "tocchiamo" le nostre aspettative, che arriviamo a compiere un nostro desiderio. La felicità può essere definita l'attesa della felicità, in un certo senso infatti la felicità è più l'attesa di una condizione che in qualche modo è per noi favorevole, che la situazione stessa. Siamo felici nel momento in cui sappiamo che sta per accaderci qualcosa di bello, qualcosa che aspettavamo da tanto, ma quando quel qualcosa arriva la felicità svanisce. La felicità risulta così più un’illusione, è come quando noi ragazzi abbiamo la scuola e aspettiamo con ansia che arrivi la domenica per poter rimanere a casa a dormire e non doverci alzare presto per seguire le lezioni però la domenica stessa siamo già “tristi” perche pensiamo che il lunedì dovremo alzarci e seguire le lezioni, non riusciamo così a goderci il momento.
 
Giuliana