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domenica 29 dicembre 2013

ti auguro tempo




Regaliamoci tempo ogni giorno 
in questo mondo che corre all'impazzata
non si capisce bene perchè
nè verso quale meta

Regaliamoci tempo
per pensare
per gioire
per comunicare
per amare....
....sarà il dono più prezioso



Buon anno a tutti!


questo bel messaggio augurale 


Ti auguro tempo

Non ti auguro un dono qualsiasi,
ti auguro soltanto quello che i più non hanno.
ti auguro tempo, per divertirti e per ridere;
se lo impiegherai bene, potrai ricavarne qualcosa.


Ti auguro tempo, per il tuo fare e il tuo pensare, non
solo per te stessa,ma anche per donarlo agli altri.
ti auguro tempo, non per affrettarti a correre,
ma tempo per essere contenta.

Ti auguro tempo, non soltanto per trascorrerlo,
ti auguro tempo perché te ne resti:
tempo per stupirti e tempo per fidarti
e non soltanto per guardarlo sull'orologio.

Ti auguro tempo per toccare le stelle
e tempo per crescere, per maturare.

Ti auguro tempo per sperare nuovamente e per amare.
Non ha più senso rimandare.
Ti auguro tempo per trovare te stessa,
per vivere ogni tuo giorno , ogni tua ora come un dono.

Ti auguro tempo anche per perdonare.

Ti auguro di avere tempo,
tempo per la vita".


Elli Michler

sabato 28 dicembre 2013

Natale tra i migranti a Lampedusa



"....Mia madre mi diceva sem­pre che l’unico modo per cam­biare le cose è rim­boc­carsi le mani­che, spor­carsi le mani, pro­vare a rad­driz­zare ciò che ci sem­bra storto. Man­cano due giorni a Natale e io, musul­mano, che ho pas­sato un anno di scuola dalle suore a Misu­rina, qual­cosa ne so della reli­gione cat­to­lica e del senso di que­sti giorni per milioni di cri­stiani. Il cen­tro di prima acco­glienza di Lam­pe­dusa mi sem­bra subito un pre­sepe moderno. «Non c’era posto per loro nell’albergo», il figlio di Dio per i cri­stiani nasce den­tro ad una grotta, sce­glie subito da che parte stare, si incarna pro­prio là dove l’umanità è più ferita.
Subito sono attor­niato da loro, dagli “ospiti” del cen­tro, che vogliono pre­sen­tarsi, vogliono rac­con­tare la pro­pria sto­ria, vogliono pro­te­stare anche. C’è parec­chia rab­bia, desi­de­rio di essere ascol­tati, di tirare fuori la pro­pria uma­nità. Li ascolto in silen­zio, fac­cio par­lare le loro fru­stra­zioni, tocco con mano le loro spe­ranze, molte sono anche mie, guardo negli occhi un’umanità piena di ener­gie, che anni e anni di leggi ingiu­ste hanno pie­gato, ferito, avvi­lito. Chi pensa di avere ancora qual­che argo­mento a favore di quell’orrore che è la Bossi-Fini e del pac­chetto Sicu­rezza dovrebbe venire qui, pro­vare a soste­nere il loro sguardo pulito che reclama giustizia.
L’Italia ha biso­gno di una buona legge che regoli l’immigrazione, che ci fac­cia uscire dal “cat­ti­vi­smo”, dalla poli­tica della paura, dalla stu­pi­dità di norme e codici che non con­sen­tono a chi nasce o cre­sce in Ita­lia di dirsi ita­liano, di con­cor­rere ai bandi pub­blici, di votare, di can­di­darsi. Leggi che mal­trat­tano chi chiede asilo e rifu­gio nel nostro Paese. L’Italia ha biso­gno di risco­prire negli immi­grati una forza, una risorsa eco­no­mica, intel­let­tuale, umana(...)
I miei giorni den­tro al Cen­tro Acco­glienza di Lam­pe­dusa sono stati un dono per me. Un’occasione vera di con­fronto con quell’umanità migrante sulla cui pelle sono state fatte molte leggi e prese molte deci­sioni. Ecco, io nel mio nuovo ruolo di par­la­men­tare sono un legi­sla­tore, e credo sia impor­tante, anzi, neces­sa­rio guar­dare negli occhi le per­sone, pesare la loro dignità, prima di scri­vere o pre­sen­tare leggi che le riguar­dano. Dopo Lam­pe­dusa, ora dob­biamo scri­vere una nuova legge. Una legge sull’immigrazione dal carat­tere umano e dalla parte dei diritti dei rifugiati.
Ora non pos­siamo più dire di non sapere (...)
"

martedì 24 dicembre 2013

Racconto di Natale





Tanta serenità per tutti noi:
in questi anni faticosi è l'augurio del quale sento più fortemente bisogno.
Per chi crede e per chi non ha avuto il "dono" può esistere quel "sentire" 
-ancor più struggente perché non fideistico- 
emozioni e sentimenti
legati al Natale che traspare nelle pagine di due grandi Autori, Pirandello e Buzzati

Mirella Furneri


Sogno di Natale di Luigi Pirandello


e adesso...
RACCONTO DI NATALE

di Dino Buzzati



Tetro e ogivale è l'antico palazzo dei vescovi, stillante salnitro dai muri, rimanerci è un supplizio nelle notti d'inverno. E l'adiacente cattedrale è immensa, a girarla tutta non basta una vita, e c'è un tale intrico di cappelle e sacrestie che, dopo secoli di abbandono, ne sono rimaste alcune pressoché inesplorate. Che farà la sera di Natale - ci si domanda – lo scarno arcivescovo tutto solo, mentre la città è in festa? Come potrà vincere la malinconia? Tutti hanno una consolazione: il bimbo ha il treno e pinocchio, la sorellina ha la bambola, la mamma ha i figli intorno a sé, il malato una nuova speranza, il vecchio scapolo il compagno di dissipazioni, i1 carcerato la voce di un altro dalla cella vicina. Come farà l'arcivescovo? Sorrideva lo zelante don Valentino, segretario di sua eccellenza, udendo la gente parlare così. L'arcivescovo ha Dio, la sera di Natale. Inginocchiato solo soletto nel mezzo della cattedrale gelida e deserta a prima vista potrebbe quasi far pena, e invece se si sapesse! Solo soletto non è, non ha neanche freddo, né si sente abbandonato. Nella sera di Natale Dio dilaga nel tempio, per l'arcivescovo, le navate ne rigurgitano letteralmente, al punto che le porte stentano a chiudersi; e, pur mancando le stufe, fa così caldo che le vecchie bisce bianche si risvegliano nei sepolcri degli storici abati e salgono dagli sfiatatoi dei sotterranei sporgendo gentilmente la testa dalle balaustre dei confessionali.

Così, quella sera il Duomo; traboccante di Dio. E benché sapesse che non gli competeva, don Valentino si tratteneva perfino troppo volentieri a disporre l'inginocchiatoio del presule. Altro che alberi, tacchini e vino spumante. Questa, una serata di Natale. Senonché in mezzo a questi pensieri, udì battere a una porta. "Chi bussa alle porte del Duomo" si chiese don Valentino "la sera di Natale? Non hanno ancora pregato abbastanza? Che smania li ha presi?" Pur dicendosi così andò ad aprire e con una folata divento entrò un poverello in cenci.

"Che quantità di Dio! " esclamò sorridendo costui guardandosi intorno- "Che bellezza! Lo si sente perfino di fuori.

Monsignore, non me ne potrebbe lasciare un pochino? Pensi, è la sera di Natale. "

"E' di sua eccellenza l'arcivescovo" rispose il prete. "Serve a lui, fra un paio d'ore. Sua eccellenza fa già la vita di un santo, non pretenderai mica che adesso rinunci anche a Dio! E poi io non sono mai stato monsignore."

"Neanche un pochino, reverendo? Ce n'è tanto! Sua eccellenza non se ne accorgerebbe nemmeno!"

"Ti ho detto di no... Puoi andare... Il Duomo è chiuso al pubblico" e congedò il poverello con un biglietto da cinque lire.

Ma come il disgraziato uscì dalla chiesa, nello stesso istante Dio disparve. Sgomento, don Valentino si guardava intorno, scrutando le volte tenebrose: Dio non c'era neppure lassù. Lo spettacoloso apparato di colonne, statue, baldacchini, altari, catafalchi, candelabri, panneggi, di solito così misterioso e potente, era diventato all'improvviso inospitale e sinistro. E tra un paio d'ore l'arcivescovo sarebbe disceso.

Con orgasmo don Valentino socchiuse una delle porte esterne, guardò nella piazza. Niente. Anche fuori, benché fosse Natale, non c'era traccia di Dio. Dalle mille finestre accese giungevano echi di risate, bicchieri infranti, musiche e perfino bestemmie. Non campane, non canti.

Don Valentino uscì nella notte, se n'andò per le strade profane, tra fragore di scatenati banchetti. Lui però sapeva l'indirizzo giusto. Quando entrò nella casa, la famiglia amica stava sedendosi a tavola. Tutti si guardavano benevolmente l'un l'altro e intorno ad essi c'era un poco di Dio.

"Buon Natale, reverendo" disse il capofamiglia. "Vuol favorire?"

"Ho fretta, amici" rispose lui. "Per una mia sbadataggine Iddio ha abbandonato il Duomo e sua eccellenza tra poco va a pregare. Non mi potete dare il vostro? Tanto, voi siete in compagnia, non ne avete un assoluto bisogno."

"Caro il mio don Valentino" fece il capofamiglia. "Lei dimentica, direi, che oggi è Natale. Proprio oggi i miei figli dovrebbero far a meno di Dio? Mi meraviglio, don Valentino."

E nell'attimo stesso che l'uomo diceva così Iddio sgusciò fuori dalla stanza, i sorrisi giocondi si spensero e il cappone
arrosto sembrò sabbia tra i denti.

Via di nuovo allora, nella notte, lungo le strade deserte. Cammina cammina, don Valentino infine lo rivide. Era giunto alle porte della città e dinanzi a lui si stendeva nel buio, biancheggiando un poco per la neve, la grande campagna. Sopra i prati e i filari di gelsi, ondeggiava Dio, come aspettando. Don Valentino cadde in ginocchio.

"Ma che cosa fa, reverendo?" gli domandò un contadino. "Vuoi prendersi un malanno con questo freddo?"

"Guarda laggiù figliolo. Non vedi?"

Il contadino guardò senza stupore. "È nostro" disse. "Ogni Natale viene a benedire i nostri campi."

" Senti " disse il prete. "Non me ne potresti dare un poco? In città siamo rimasti senza, perfino le chiese sono vuote. Lasciamene un pochino che l'arcivescovo possa almeno fare un Natale decente."

"Ma neanche per idea, caro il mio reverendo! Chi sa che schifosi peccati avete fatto nella vostra città. Colpa vostra. Arrangiatevi."

"Si è peccato, sicuro. E chi non pecca? Ma puoi salvare molte anime figliolo, solo che tu mi dica di sì."

"Ne ho abbastanza di salvare la mia!" ridacchiò il contadino, e nell'attimo stesso che lo diceva, Iddio si sollevò dai suoi campi e scomparve nel buio.

Andò ancora più lontano, cercando. Dio pareva farsi sempre più raro e chi ne possedeva un poco non voleva cederlo (ma nell'atto stesso che lui rispondeva di no, Dio scompariva, allontanandosi progressivamente).

Ecco quindi don Valentino ai limiti di una vastissima landa, e in fondo, proprio all'orizzonte, risplendeva dolcemente Dio come una nube oblunga. Il pretino si gettò in ginocchio nella neve. "Aspettami, o Signore " supplicava "per colpa mia l'arcivescovo è rimasto solo, e stasera è Natale!"

Aveva i piedi gelati, si incamminò nella nebbia, affondava fino al ginocchio, ogni tanto stramazzava lungo disteso. Quanto avrebbe resistito?

Finché udì un coro disteso e patetico, voci d'angelo, un raggio di luce filtrava nella nebbia. Aprì una porticina di legno: era una grandissima chiesa e nel mezzo, tra pochi lumini, un prete stava pregando. E la chiesa era piena di paradiso.

"Fratello" gemette don Valentino, al limite delle forze, irto di ghiaccioli "abbi pietà di me. Il mio arcivescovo per colpa mia è rimasto solo e ha bisogno di Dio. Dammene un poco, ti prego."

Lentamente si voltò colui che stava pregando. E don Valentino, riconoscendolo, si fece, se era possibile, ancora più pallido.

"Buon Natale a te, don Valentino" esclamò l'arcivescovo facendosi incontro, tutto recinto di Dio. "Benedetto ragazzo, ma dove ti eri cacciato? Si può sapere che cosa sei andato a cercar fuori in questa notte da lupi?"


lunedì 23 dicembre 2013

sogno di Natale




segnalato da Mirella Furneri

SOGNO DI NATALE

di Luigi Pirandello




Sentivo da un pezzo sul capo inchinato tra le braccia come l'impressione d'una mano lieve, in atto tra di carezza e di protezione. Ma l'anima mia era lontana, errante pei luoghi veduti fin dalla fanciullezza, dei quali mi spirava ancor dentro il sentimento, non tanto però che bastasse al bisogno che provavo di rivivere, fors'anche per un minuto, la vita come immaginavo si dovesse in quel punto svolgere in essi.

Era festa dovunque: in ogni chiesa, in ogni casa: intorno al ceppo, lassù; innanzi a un Presepe, laggiù; noti volti tra ignoti riuniti in lieta cena; eran canti sacri, suoni di zampogne, gridi di fanciulli esultanti, contese di giocatori... E le vie delle città grandi e piccole, dei villaggi, dei borghi alpestri o marini, eran deserte nella rigida notte. E mi pareva di andar frettoloso per quelle vie, da questa casa a quella, per godere della raccolta festa degli altri; mi trattenevo un poco in ognuna, poi auguravo:

- Buon Natale - e sparivo...

Ero già entrato così, inavvertitamente, nel sonno e sognavo. E nel sogno, per quelle vie deserte, mi parve a un tratto d'incontrar Gesù errante in quella stessa notte, in cui il mondo per uso festeggia ancora il suo natale. Egli andava quasi furtivo, pallido, raccolto in sé, con una mano chiusa sul mento e gli occhi profondi e chiari intenti nel vuoto: pareva pieno d'un cordoglio intenso, in preda a una tristezza infinita.

Mi misi per la stessa via; ma a poco a poco l'immagine di lui m'attrasse così, da assorbirmi in sé; e allora mi parve di far con lui una persona sola. A un certo punto però ebbi sgomento della leggerezza con cui erravo per quelle vie, quasi sorvolando, e istintivamente m'arrestai. Subito allora Gesù si sdoppiò da me, e proseguì da solo anche più leggero di prima, quasi una piuma spinta da un soffio; ed io, rimasto per terra come una macchia nera, divenni la sua ombra e lo seguii.

Sparirono a un tratto le vie della città: Gesù, come un fantasma bianco splendente d'una luce interiore, sorvolava su un'alta siepe di rovi, che s'allungava dritta infinitamente, in mezzo a una nera, sterminata pianura. E dietro, su la siepe, egli si portava agevolmente me disteso per lungo quant'egli era alto, via via tra le spine che mi trapungevano tutto, pur senza darmi uno strappo.

Dall'irta siepe saltai alla fine per poco su la morbida sabbia d'una stretta spiaggia: innanzi era il mare; e, su le nere acque palpitanti, una via luminosa, che correva restringendosi fino a un punto nell'immenso arco dell'orizzonte. Si mise Gesù per quella via tracciata dal riflesso lunare, e io dietro a lui, come un barchetto nero tra i guizzi di luce su le acque gelide.

A un tratto, la luce interiore di Gesù si spense: traversavamo di nuovo le vie deserte d'una grande città. Egli adesso a quando a quando sostava a origliare alle porte delle case più umili, ove il Natale, non per sincera divozione, ma per manco di denari non dava pretesto a gozzoviglie.

- Non dormono... - mormorava Gesù, e sorprendendo alcune rauche parole d'odio e d'invidia pronunziate nell'interno, si stringeva in sé come per acuto spasimo, e mentre l'impronta delle unghie restavagli sul dorso delle pure mani intrecciate, gemeva: - Anche per costoro io son morto...

Andammo così, fermandoci di tanto in tanto, per un lungo tratto, finché Gesù innanzi a una chiesa, rivolto a me, ch'ero la sua ombra per terra, non mi disse:

- Alzati, e accoglimi in te. Voglio entrare in questa chiesa e vedere.

Era una chiesa magnifica, un'immensa basilica a tre navate, ricca di splendidi marmi e d'oro alla volta, piena d'una turba di fedeli intenti alla funzione, che si rappresentava su l'altar maggiore pomposamente parato, con gli officianti tra una nuvola d'incenso. Al caldo lume dei cento candelieri d'argento splendevano a ogni gesto le brusche d'oro delle pianete tra la spuma dei preziosi merletti del mensale.

- E per costoro - disse Gesù entro di me - sarei contento, se per la prima volta io nascessi veramente questa notte.

Uscimmo dalla chiesa, e Gesù, ritornato innanzi a me come prima posandomi una mano sul petto riprese:

- Cerco un'anima, in cui rivivere. Tu vedi ch'ìo son morto per questo mondo, che pure ha il coraggio di festeggiare ancora la notte della mia nascita. Non sarebbe forse troppo angusta per me l'anima tua, se non fosse ingombra di tante cose, che dovresti buttar via. Otterresti da me cento volte quel che perderai, seguendomi e abbandonando quel che falsamente stimi necessario a te e ai tuoi: questa città, i tuoi sogni, i comodi con cui invano cerchi allettare il tuo stolto soffrire per il mondo... Cerco un'anima, in cui rivivere: potrebbe esser la tua come quella d'ogn'altro di buona volontà.

- La città, Gesù? - io risposi sgomento. - E la casa e i miei cari e i miei sogni?

- Otterresti da me cento volte quel che perderai – ripeté Egli levando la mano dal mio petto e guardandomi fisso con quegli occhi profondi e chiari.

- Ah! io non posso, Gesù... - feci, dopo un momento di perplessità, vergognoso e avvilito, lasciandomi cader le braccia sulla persona.

Come se la mano, di cui sentivo in principio del sogno l'impressione sul mio capo inchinato, m'avesse dato una forte spinta contro il duro legno del tavolino, mi destai in quella di balzo, stropicciandomi la fronte indolenzita. E qui, è qui, Gesù, il mio tormento! Qui, senza requie e senza posa, debbo da mane a sera rompermi la testa
.



venerdì 20 dicembre 2013

il valore dell'educazione....




per riflettere......



"L’'educazione è il grande motore dello sviluppo personale. 
È grazie all’'educazione che la figlia di un contadino può diventare medico
il figlio di un minatore il capo miniera 
o un bambino nato in una famiglia povera il presidente di una grande nazione. 
Non ciò che ci viene dato, 
ma la capacità di valorizzare al meglio ciò che abbiamo 
è ciò che distingue una persona dall’'altra".   

Nelson Mandela


lunedì 16 dicembre 2013

Al Centro Astalli


GIOVEDI' 12 DICEMBRE 2013

I ragazzi di 4 B e 4 L con Elvira Iovino, Mamadu, Raffaele Carbonaro, Rosa Torrisi e Grazia Messina








MERCOLEDI' 18 DICEMBRE
SECONDA VISITA AL CENTRO ASTALLI
CLASSI 4 H e 4 D

domenica 15 dicembre 2013

Il mito di Theuth


può la scrittura condurre al vero?
 Ecco quanto Platone sostiene nel dialogo Fedro, presentando il mito di Theuth


“ Dunque trovato hai medicina, non per accrescere la memoria, sibbene per rivocare le cose alla memoria. 
E quanto a sapienza, tu procuri ai discepoli l'apparenza sua, non la verità; ”




SOCRATE: "Ho udito , dunque, che nei pressi di Naucrati d' Egitto c' era uno degli antichi dèi locali, di nome Theuth, al quale apparteneva anche l' uccello sacro chiamato Ibis. Fu appunto questo dio a inventare il numero e il calcolo, la geometria e l' astronomia e, ancora, il gioco del tavoliere e quello dei dadi, e soprattutto la scrittura. Regnava a quel tempo su tutto l' Egitto Thamus, che risiedeva nella grande città dell' Alto Egitto che i Greci chiamano Tebe e il cui dio chiamano Ammone. Recatosi al cospetto del faraone, Theuth gli mostrò le sue arti e disse che occorreva diffonderle tra gli altri Egizi. Quello allora lo interrogò su quali fossero le utilità di ciascuna arte mentre Theuth gliela spiegava, il faraone criticava una cosa, ne lodava un' altra, a seconda che gli paresse detta bene o male. Si dice che Thamus abbia espresso a Theuth molte osservazioni sia pro sia contro ciascuna arte, ma riferirle sarebbe troppo lungo. Quando Theuth venne alla scrittura disse: "Questa conoscenza, o faraone, renderà gli Egizi più sapienti e più capaci di ricordare: é stata infatti inventata come medicina per la memoria e per la sapienza". Ma quello rispose: "Ingegnosissimo Theuth, c' é chi é capace di dar vita alle arti , e chi invece di giudicare quale danno e quale vantaggio comportano per chi se ne avvarrà. E ora tu, padre della scrittura, per benevolenza hai detto il contrario di ciò che essa é in grado di fare. Questa infatti produrrà dimenticanza nelle anime di chi l' avrà appresa, perché non fa esercitare la memoria. Infatti, facendo affidamento sulla scrittura, essi trarranno i ricordi dall' esterno, da segni estranei, e non dall' interno, da sé stessi. Dunque non hai inventato una medicina per la memoria, ma per richiamare alla memoria. Ai discepoli tu procuri una parvenza di sapienza, non la vera sapienza: divenuti, infatti, grazie a te, ascoltatori di molte cose senza bisogno di insegnamento, crederanno di essere molto dotti, mentre saranno per lo più ignoranti e difficili da trattare, in quanto divenuti saccenti invece che sapienti" .

FEDRO: Socrate, con che facilità tu fai discorsi egizi e di tutti i Paesi che vuoi !

SOCRATE: Gli antichi, mio caro, dissero che nel santuario di Zeus a Dodona, da una quercia , provennero i primi discorsi divinatori. Agli uomini di quel tempo dunque, dato che non erano sapienti come voi giovani, bastava nella loro semplicità ascoltare una quercia o un sasso, purchè dicessero il vero. A te invece importa forse sapere chi é colui che parla e da dove viene; non ti accontenti infatti di esaminare se le cose che dice stanno o meno così.

FEDRO: Hai fatto bene a rimproverarmi : anche a me pare che circa la scrittura le cose stiano come sostiene il Tebano.

SOCRATE Dunque, chi credesse di affidare alla scrittura la trasmissione di un' arte e chi a sua volta la ricevesse, convinto che dalla scrittura gli deriverà qualche insegnamento chiaro e solido, sarebbe molto ingenuo e ignorerebbe in realtà l' oracolo di Ammone, credendo che i discorsi scritti siano qualcosa di più del richiamare alla memoria di chi già conosce gli argomenti trattati nello scritto."

 L'INTERPRETAZIONE PLATONICA:


Il giudizio di Platone nei confronti della scrittura intesa come strumento di diffusione ed organizzazione del sapere, è fondamentalmente negativo (è tuttavia presente una distinzione tra "buona" e "cattiva" scrittura) e può essere riassunto in sette punti fondamentali:

· mentre il logos è associabile alla vita ed alla sua dynamis, la scrittura è copia inanimata dell'oralità, soggetta inevitabilmente a corruzione e connessa alla morte

· lo scritto non accresce né la sapienza, né la memoria, risultando utile solo a chi voglia rinfrescare il ricordo di ciò che già conosce

· la scrittura è muta, incapace di autodifendersi

· la scrittura, in quanto accessibile a tutti, è "anonima", fuori tempo rispetto al momento di nascita e quindi soggetta a possibilità di equivoco

· lo scritto è un "gioco", mentre l'oralità è "cosa seria", scientificamente fondata

· solo l'oralità è chiara e compiuta: la phoné è un significante quasi inconsistente, molto vicino alla natura fluida e pura del logos, mentre la grammé (significante del significante) presenta un forte distacco dal significato


· le "cose maggiori non sono affidate agli scritti"(qui esiste probabilmente un riferimento ad una situazione di coercizione sociale e culturale per cui il filosofo non poteva diffondere in modo aperto le proprie riflessioni).



UNA PROPOSTA DI PIA VACANTE

giovedì 12 dicembre 2013

apre il Caffè filosofico




10 dicembre 2013
aula magna del liceo "Leonardo" 
ore 15-17

Caffè filosofico






La cura dell'anima e i greci


conducono la prof.ssa Pia Vacante e gli studenti della 4 G



bravi tutti, è stato proprio un pomeriggio stimolante!

domenica 8 dicembre 2013

Caffè filosofico al Leonardo




Nell’Aula Magna del nostro Liceo, a partire dal 10 dicembre 2013,  sarà attivato il “Caffè filosofico”, un’esperienza del “con-filosofare” nell’ambito della quale sarà possibile approfondire tematiche filosofiche in modo attivo, creativo, critico e partecipativo.



Il progetto prevede cinque incontri pomeridiani della durata di due ore compreso il dibattito
( dalle 15 alle 17), che avranno luogo secondo il seguente calendario :


10/12/13 “ La cura dell’anima e i Greci” ( a cura della prof.ssa Vacante) - rivolto prevalentemente alle classi terze;
14/01/14 “ L’Etica dei valori” ( a cura della prof.ssa Scandura ) - rivolto prevalentemente alle classi terze;
18/02/14 “ Potere ed autorità” ( a cura del prof. D’Agostino ) - rivolto prevalentemente alle classi quarte e quinte;
27/02/14 “ L’ Induismo” ( a cura della prof.ssa Vacante) - rivolto prevalentemente alle classi quarte e quinte;
18/03/14 “ La filosofia della mente” ( a cura della prof.ssa Scandurra) - rivolto prevalentemente alle classi quarte e quinte.
.
Tutti gli studenti che intendono partecipare possono segnalare la loro adesione  al proprio docente di Filosofia entro e non oltre il 9/12/13.

a presto!

NON SONO NUMERI




PROGETTO MIGRANTI
studio dell' immigrazione in Sicilia


NON SONO NUMERI



GIOVEDI' 12 DICEMBRE
classi 4 B e 4 L (gruppo al completo)

MERCOLEDI' 18 DICEMBRE
classe 4 H, (si possono ancora accettare adesioni)
 
VISITA AL CENTRO ASTALLI DI CATANIA

ore 15-19,30

gli studenti interessati possono rivolgersi alla prof.ssa Grazia Messina, referente del progetto


Per info  SU

Per documentarsi sullo stato attuale dell’immigrazione in Italia


sabato 7 dicembre 2013

Mandela, l'uomo della speranza





"nessuno è nato schiavo, nè signore, 
nè per vivere in miseria, 
ma tutti siamo nati per essere fratelli"

Nelson Mandela
1918-2013

venerdì 6 dicembre 2013

pluslavoro e plusvalore


"Entro i limiti della produzione capitalistica, lo sviluppo della forza produttiva del lavoro ha lo scopo di abbreviare la parte della giornata lavorativa nella quale l’operaio deve lavorare per se stesso, per prolungare, proprio con questo mezzo, l’altra parte della giornata lavorativa nella quale l’operaio può lavorare gratuitamente per il capitalista".

Karl Marx, Il Capitale, libro I, cap.10








power point esplicativo


....e adesso le schede della prof:

merce, lavoro, capitale

riepilogo generale

giovedì 5 dicembre 2013

il materialismo dialettico





"La storia di ogni società finora esistita è storia di lotte di classi.
Liberi e schiavi, patrizi e plebei, baroni e servi della gleba, membri di corporazioni e garzoni, insomma oppressori e oppressi, sono stati sempre in reciproco antagonismo, conducendo una lotta senza fine, a volte nascosta, a volte dichiarata, che portò in ogni caso o a una trasformazione rivoluzionaria di tutta la società o alla totale rovina delle classi in competizione.
Nelle epoche piú antiche della storia scorgiamo quasi ovunque una struttura della società tutta secondo differenti strati, una graduazione articolata delle posizioni sociali. Nell’antica Roma abbiamo patrizi, cavalieri, plebei, schiavi; nel medioevo signori feudali, vassalli, membri di corporazioni, garzoni, servi della gleba, e inoltre in quasi ciascuna di queste classi ulteriori graduazioni particolari.
La moderna società borghese, sorta dalla rovina della società feudale, non ha eliminato i contrasti fra le classi. Essa ha soltanto posto nuove classi, nuove condizioni di oppressione, nuove forme di lotta in luogo delle antiche.
L’epoca nostra, l’epoca della borghesia, si distingue tuttavia perché ha semplificato i contrasti fra le classi. La società intiera si va sempre più scindendo in due grandi campi nemici, in due grandi classi direttamente opposte l’una all’altra: borghesia e proletariato".



Marx, Engels- Il Manifesto del partito comunista, 1848




 presentazione in power point

martedì 3 dicembre 2013

L’Integralismo Islamico e L’OLP




riflessione di Nino Musumeci, 5 G






Andare a ricercare le cause di un movimento complesso come quello dell’Integralismo Islamico, porta purtroppo ad inciampare in trame a dir poco romanzesche quali complottismo, massoneria e plutocrazia. Per questo è mia opinione cercare di mantenersi il più cinici e distaccati possibile, in modo da analizzare gli eventi nel modo più neutrale e moderato. Una cosa è certa: l’Integralismo Islamico è nato a causa di una “leggerezza imbarazzante” da parte delle superpotenze occidentali. In seguito alla Seconda Guerra Mondiale si operò per formare uno stato ebraico in Palestina, senza tener conto della presenza araba. L’Integralismo, o Fondamentalismo Islamico, nasce come forma di opposizione a questa scelta. Sono tristemente noti a tutti gli attacchi terroristici ai danni del mondo occidentale,tra cui “l’11 Settembre”. Ma perché il terrorismo? Perché la guerra? Bisogna aprire una piccola parentesi di natura economica: il Medio Oriente è il cuore dell’economia odierna, poiché è il maggiore esportatore di petrolio nel mondo quindi le superpotenze occidentali (USA in primis) hanno cercato di “invadere” questi paesi in modo da ottenere maggiori profitti. Da questo punto di vista Israele si riduce ad un mero avamposto americano, celato sotto le spoglie di uno stato nazionale. L’OLP, letteralmente Organizzazione per la Liberazione della Palestina, viceversa sarebbe un’organizzazione che si è battuta (pur ricorrendo alla lotta armata) per l’emancipazione di questi popoli “sottosviluppati” dall’egemonia occidentale che li condiziona e li mantiene in una situazione di “arretratezza economica”. Partendo da questo assunto di matrice economica la Storia cambia volto e mostra un braccio di ferro tra Paesi che dispongono delle materie prime ma non hanno le infrastrutture per gestirle e Paesi che invece vorrebbero impadronirsene. A questo punto appare ovvio che per comprendere la natura dei conflitti fra ebrei e palestinesi bisogna, ed anzi basterebbe, cercare di capire le posizioni che di volta in volta hanno assunto gli Stati Uniti d’America. Se da un lato infatti gli USA si sono battuti per “l’esportazione” della democrazia quale ingrediente principale per lo sviluppo di ogni Paese, dall’altro hanno imposto bruscamente la loro economia in modo da scatenare le reazioni armate. Probabilmente se gli USA non avessero agito in questo modo molti paesi orientali sarebbero ancora legati ad una politica che possiamo definire aristocratica o addirittura feudale, dove l’elite detiene il potere ed amministra la ricchezza mentre al volgo non resta che una vita di stenti e di fatica priva di emancipazione. Come sarebbe anche potuto accadere che i suddetti stati orientali si sarebbero potuti “evolvere” autonomamente andando però a creare nuovi equilibri nel panorama economico mondiale.

In classe ci viene sempre ripetuto che la storia non si fa “con i se e con i  ma”, tuttavia mi piace riflettere sul fatto che, molto probabilmente,  
se il 14 Maggio 1948 non fosse nato SOLO lo Stato d’Israele magari l’11 Settembre 2001 le Torri Gemelle non sarebbero state rase al suolo.                                                                                                                                         

lunedì 2 dicembre 2013

lavoro ed alienazione

  “Nella società borghese il capitale è indipendente e personale, 
                                      mentre l’individuo che lavora è dipendente e spersonalizzato.” 

"Nella stessa proporzione in cui si sviluppa la borghesia, cioè il capitale, si sviluppa il proletariato, la classe degli operai moderni, che vivono solo fintantoché trovano lavoro, e che trovano lavoro solo fintantoché il loro lavoro aumenta il capitale. Questi operai, che sono costretti a vendersi al minuto, sono una merce come ogni altro articolo commerciale, e sono quindi esposti, come le altre merci, a tutte le alterne vicende della concorrenza, a tutte le oscillazioni del mercato."

 Manifesto del Partito comunista, 1848