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giovedì 31 gennaio 2013

Il mito di Er



Er è un soldato valoroso, proveniente dalla Panfilia (una regione mediterranea dell’Asia Minore), che, caduto in battaglia, dopo dieci giorni viene ritrovato intatto fra i cadaveri putrefatti. Dopo altri due giorni, messo sul rogo per essere cremato, ritorna in vita, con la memoria del mondo dell’aldilà, e narra di un viaggio nell'oltretomba dal quale ha appreso chi e come decide la sorte dei mortali.







Repubblica, libro X

Interessante è la parte centrale sulla scelta delle anime alla reincarnazione. Uscite dalle voragini del cielo e della terra dopo un viaggio di 1000 anni, ed una sosta di 7 giorni, le anime si dirigono per 4 giorni verso la luce della circonferenza del cielo, alle cui estremità è appeso un fuso tenuto a piombo da 8 vasi concentrici, che rappresentano gli otto cieli (Stelle fisse, Saturno, Giove, Marte, Venere, Sole, Luna e terra), fuso che gira sulle ginocchia di Ananke, con accanto le tre Parche (Moire):  Cloto, Lachesi e Atropo per il passato, il presente e il futuro. Figlie di Zeus e Temi, le parche erano la personificazione del destino ineluttabile. Il loro compito era tessere il filo del fato di ogni uomo (Cloto), svolgerlo (Lachesi) ed infine reciderlo (Atropo) segnandone la morte.
Dice la Parca Lachesi:

"Non è il dèmone che sceglierà la vostra sorte, ma siete voi che sceglierete il vostro dèmone. Il primo che la sorte avrà designato sarà il primo a scegliere il tenore di vita al quale sarà necessariamente legato. La virtù è libera a tutti; ognuno ne parteciperà più o meno a seconda che la stima o la spregia.
Ognuno è responsabile del proprio destino, la divinità non è responsabile".
(Platone, Repubblica, X, 617 e)



L'interpretazione

Si tratta di un altro mito meta-filosofico, come quello della biga alata.

Il ritorno di Er dal regno dei morti è un’immagine forte dello spirito che ispira la metafisica di Platone: la realtà esiste solo nella misura in cui è viva e in tensione verso il meglio. Noi esistiamo in maniera piena solo se sappiamo fare le nostre scelte – se sappiamo, cioè, valorosamente morire e consapevolmente rinascere, senza dimenticare nulla, come nel racconto straordinario che mette fine alla Repubblica.
La virtù, dipendendo da noi, non ha padrone: possiamo essere veramente virtuosi se riusciamo a trascendere la nostra identità, per ricordare le condizioni sovraindividuali della scelta – facendo parte di una comunità di conoscenza che supera il tempo e lo spazio. Se la virtù richiede la conoscenza, come memoria che supera l’individualità,  ne segue una conclusione che non può essere dimenticata:
la conoscenza non ha né può avere padrone.

Questo mito insiste dunque sulla responsabilità delle nostre scelte: nessuno di noi può sottrarsi alle scelte (torneranno su questo tema anche Kierkegaard e Sartre) e portiamo la responsabilità morale delle nostre azioni, cui dobbiamo imputare la nostra felicità o infelicità, secondo un criterio assoluto di giustizia.

martedì 29 gennaio 2013

la biga alata e l'anima immortale



Il mito

"Si assomigli, dunque, alle possanze connaturate insieme d'una biga alata e un auriga. I cavalli e gli aurighi degl'Iddii son tutti buoni, e figliuol di buoni; mischiati, quelli degli altri. Intorno ai quali è a notare che la parte che dentro noi regge, quella guida il cocchio; e poi, che l'un de' cavalli è buono e bello, esso ed i suoi parenti; e l'altro, esso ed i suoi parenti, cattivo e brutto: onde è assai malagevole a noi il guidamento delle bighe. Ma ora chiariamo la ragione di cotesti nomi, cioè d'animal mortale e immortale. Ogni anima ha in cura tutto quel ch'è inanimato, e vassene, ora in una e ora in un'altra parvenza, in giro per tutto il cielo. E insino a che è perfetta, e alata, vola alto, e governa il mondo; ma se si spenna, trasportata ella è in qua e in là insino a tanto che ad alcuna cosa solida non s'appigli, e, ponendo ivi stanza, non prenda terreno corpo, che par si muova da sé per la possanza di lei; e il tutto, cioè l'anima congiuntamente con il corpo, fu chiamato animale, e datogli il sovrannome di mortale. (...)

La cagione poi di codesta sollecitudine di vedere il campo della verità dov'è, si è che lo alimento che fa alla parte gentilissima dell'anima, è in quel prato; e si nutron pur di quello le ali, onde si fa lieve l'anima. E legge d'Adrastia questa è: Qualunque anima vide alcun de' veri seguitando alcuno Iddio, non riceverà molestia insino alla circulazione novella; e, se in perpetuo potrà ella ciò fare, in perpetuo ella sarà incolume.
Se poi niente vide, non potendo seguitare l'Iddio, e, per sopravveniente sciagura tutta ismemoratasi e riempiuta di malizia, aggravasi, e, grave fatta, le si dispiccan le penne e cade giú in terra; allora legge è che cotale anima non si trapianti in niuna bestiale natura, nella prima generazione; ma quella che poté veder molto, quella trapiantisi in un futuro filosofo, o in alcuno vago di bellezza, o in alcuno musico e vago d'amore; e che l'anima, seconda a quella quanto a visione, trapiantisi in un legittimo re, o guerriero e duce; e la terza, in un futuro politico, o iconomico, od accumulator di danaro; la quarta, in un futuro ginnastico, volonteroso di fatica, o vero medico; nasconderassi la quinta nella vita d'indovino o di alcuno iniziatore a' misterii; la sesta ben si converrà a un poeta, o alcun altro di altre specie d'imitazione studioso; la settima a un artigiano, o lavoratore di terra; l'ottava a un sofista, o lusingatore di popolo; la nona, a un tiranno.(...)"

Platone, Fedro 246.a.6 segg.


L'interpretazione

"L'auriga impersonificava l'elemento razionale,mentre i cavalli quelli irrazionali:ciò significa che la nostra anima è per Platone costituita da elementi razionali ed irrazionali. Dei due cavalli,uno,di colore bianco,è un destriero da corsa ubbidiente e con spirito competitivo,l'altro,nero,è tozzo,recalcitrante ed incapace:compito dell'auriga è riuscire a dominarli grazie alla sua abilità e alla collaborazione del bianco.Il nero si ribella all'auriga (la ragione)e rappresenta le passioni più infime e basse,legate al corpo.Il bianco rappresenta le passioni spirituali,più elevate e sublimi. Significa che non tutti gli aspetti irrazionali sono negativi e che è comunque impossibile eliminarli: si possono solo controllare con la "metriopazia", la regolazione delle passioni. E' una metafora efficace perchè è vero che guida l'auriga, ma senza i cavalli la biga non si muove: significa che le passioni sono fondamentali per la vita. Sta anche a significare che soltanto alla parte razionale,in quanto dotata di sapere, spetta il governo dell'anima. Anche le anime degli dei hanno i cavalli,ma solo bianchi. Lo scopo è arrivare all'altopiano dell'iperuranio: gli dei non incontrano particolari difficoltà, mentre le bighe delle anime umane hanno seri problemi perchè si creano ingorghi ed i cavalli neri tendono a volare nella direzione opposta,verso il basso.
Accade spesso che le ali dei cavalli si spezzino e la biga precipiti sulla terra:questa è l'incarnazione.Una volta arrivato sulla terra, l'uomo non si ricorda più dell'altra dimensione,e vive con nostalgia: la vita dell'uomo non è nient'altro che un tentativo di tornare a quella situazione primordiale e le vie da percorrere per raggiungerla sono due, vale a dire la filosofia, che ci consente di vedere le ombre di quel mondo splendido,di cui quello terreno è solo un'imitazione, e la bellezza, una via più semplice,che fa nascere l'amore; se ha la meglio il cavallo bianco guidato dall'auriga l'amore assumerà connotazioni sublimi,se vincerà quello nero sarà un amore puramente fisico.
(...)Va senz'altro notato come Platone riprenda la teoria dei Pitagorici (e degli Orfici) secondo la quale il corpo è la prigione dell'anima (si giocava sulla parola greca "soma"che indica il corpo e "sema",che indica invece la prigione)".


lunedì 28 gennaio 2013

Nunzio Di Francesco




Il Liceo Classico Trimarchi di Santa Teresa di Riva ricorda

Nunzio Di Francesco

con due  documentari che ricostruiscono la storia del partigiano  Athos, catturato dopo l'armistizio del 1943 e deportato a Mauthausen, in Austria, l'11 gennaio del 1945.

Lo stesso giorno Nunzio Di Francesco fu immatricolato con il numero 115.503, numero che lo avrebbe accompagnato per il resto della sua vita.





venerdì 25 gennaio 2013

27 gennaio 2013


« Mai dimenticherò quella notte, la prima notte nel campo, che ha fatto della mia vita una lunga notte e per sette volte sprangata.

Mai dimenticherò quel fumo.

Mai dimenticherò i piccoli volti dei bambini di cui avevo visto i corpi trasformarsi in volute di fumo sotto un cielo muto.

Mai dimenticherò quelle fiamme che bruciarono per sempre la mia Fede.
Mai dimenticherò quel silenzio notturno che mi ha tolto per l’eternità il desiderio di vivere.

Mai dimenticherò quegli istanti che assassinarono il mio Dio e la mia anima, e i miei sogni, che presero il volto del deserto.

Mai dimenticherò tutto ciò, anche se fossi condannato a vivere quanto Dio stesso. Mai. 
»


(Elie Wiesel, tratto da La notte. Wiesel fu rinchiuso ad Auschwitz all'età di 16 anni)


 “Non si può più far nulla per i morti, ma tanto per i vivi. Ed è qui che bisogna agire”


Eliezer Wiesel (Sighet30 settembre 1928) è uno scrittore rumeno ebreo sopravvissuto alla Shoah, che ha scritto le sue memorie e le sue esperienze in numerosi libri. Ha ricevuto il Premio Nobel per la pace nel 1986.

Lo scorso anno ha rifiutato il premio della Gran Croce al merito della repubblica ungherese per la politica razzista di Orban. In una lettera a un quotidiano magiaro ha spiegato i motivi e si è indignato per una classe dirigente incapace di ripudiare il passato e il negazionismo della Shoah che da più parti si è levato anche in anni recenti.


Sabato 26 gennaio 2013
Liceo Statale "Leonardo"

gli studenti ricordano la Shoah
con letture e riflessioni

seguirà la proiezione del film
La chiave di Sara


28 gennaio 2013
ore 18

IL CONFLITTO ISRAELO PALESTINESE


giovedì 24 gennaio 2013

Dialogando




post di Roberto Testa

Ho provato a dialogare con la mia amica Vivina seguendo l'esempio di Socrate.  Ecco cosa ne è venuto fuori.

Che cos'è la luce

Roberto : Ora dimmi, mia amica, cos'è la luce.. Viviana : È quella cosa che ti fa vedere. È la ragione per cui vediamo e abbiamo gli occhi.
R. : Be'..Allora chi è cieco?
V. : Chi è cieco ha la luce interiore
R. : Mmm, si, probabile, però vedi, prendi ad esempio una persona che è nata del tutto cieca e non ha mai visto la luce..le dici <<Guarda, qui c'è il sole, che emana lu
ce e ti fa vedere..>>, lei non è che per magia apre gli occhi e vede..
V. : Lei lo sa in qualche modo già. 
R. : Quindi la luce non è quella cosa che ci fa vedere, ne' è la ragione per cui vediamo. La persona di prima, ad esempio, come lo sa?
V.: Ma forse lo sa più di chi vede.
Roberto : Ma c'è sempre un forse di mezzo.
 Io, dopo lunghi ragionamenti sono arrivato al punto che luce è vita.
Fino a quando ci sarà luce, la nostra terra esisterà.. L'oscurità io ancora non l'ho vista, e non credo qualcuno l'abbia vista..al massimo una persona che muore forse la vede.
Vivina: Quindi, secondo te, quando le persone muoiono, c'è una possibilità che incontrino l'oscurità?
R.: Secondo ciò in cui credo io, la mia fede, non è così, ma chi lo sa..? Una possibilità forse c'è, anche se credo sia minima. Nessuno è mai morto e poi ritornato, raccontandoci cosa ha visto, o comunque l'unico che è risorto non ha visto l'oscurità. O forse per tre giorni l'ha vista, e poi, dopo che è risorto, non l'ha vista più..

V. : Quindi, secondo ciò in cui credi tu, cosa succede quando si muore?
R.: Secondo quello in cui credo io, dopo la morte ci sarà la risurrezione della carne, e la vita eterna, quindi la salvezza..Ma tornando al discorso di prima, nel caso dovesse esserci oscurità dopo la morte, non c'è più vita, quindi il problema non si pone.
V.: Quindi in nessun modo si potrebbe "vedere" l'oscurità?
R.: A questo punto, credo di no..chi muore o vedrà la luce, o non vedrà nulla. La luce, come abbiamo detto, fa parte della vita, e per me è vita..
V.: Ma chi muore perché dovrebbe vedere la luce se è morto? La luce è vita, ti ricordo. Cosa se ne fanno i defunti della luce?
R.: Giusto, ma quella luce che vedranno i morti, è luce eterna, risurrezione, vita eterna, quindi non saranno più morti. E' una concezione molto religiosa, ripeto..
V.: E allora perché proprio alcuni non dovrebbero avere l'opportunità della vita eterna e della luce eterna?
Roberto: Perché forse la vedranno tutti, tranne chi non la vorrà vedere perché crede di averla dentro sé.
La luce è vita della mente, dell'anima, della speranza. In ogni caso illumina qualcosa o qualcuno che vive e distrugge le tenebre, l'ignoranza, la paura, la morte. Non credi?
Vivina : E’ così, Roberto.


parole chiave: brachilogia, ironia, confutazione,maieutica.



mercoledì 23 gennaio 2013

sull'impegno sociale






"If we are truly created equal, then surely the love we commit to one another must be equal as well"



Obama, Discorso di insediamento, 21 Gennaio 2013

martedì 22 gennaio 2013

Finalmente il nostro logo





post di Valerio Emanuele
3 B

Da oggi abbiamo anche il logo del blog Pensiero e realtà.

Il simbolo che si vede accanto il titolo del blog è il punto focale del
logo, difatti ho preferito lasciare il titolo su uno stile semplice,
facilmente distinguibile, evitando caratteri complessi e evitando di
dargli eccessivo colore, ma comunque distinguendo il pensiero dalla
realtà tramite le tinte, la prima più tenue e la seconda più forte in
relazione al loro "ruolo" (il primo etereo e invisibile all'occhio, il
secondo forte e presente).
 Il punto focale del logo è questo
simbolo/illustrazione/disegno che rappresenta una Spirale di Fibonacci
stilizzata.
La spirale di Fibonacci si basa sulla successione di numeri scoperta
dallo stesso Fibonacci, il cui rapporto permette di approssimare
sempre di più quel numero che fu causa di ricerca da parte di molti
matematici e filosofi: il numero aureo. Da qui la spirale si pone, a
mio parere, come connessione tra pensiero e realtà, poiché questo
rapporto, studiato per anni (pensiero), si manifesta anche in natura
(realtà), a partire dal corpo umano che rispetta queste proporzioni
sino alla forma della nostra stessa galassia.
Il legame alla filosofia è facilmente intuibile, dato lo studio
attuato da molti filosofi sull'argomento.
Se questo non bastasse, la spirale contiene, inoltre i quattro colori
assegnati ai quattro elementi, la base della realtà.

domenica 20 gennaio 2013

le idee e il loro mondo in Platone




CHE COS'E' L'IDEA?

Il termine deriva dal greco eidoV, traducibile con forma, figura, aspetto. A differenza del significato assunto in epoca moderna, ovvero di contenuto della mente e risultato del pensiero (così è appunto da Cartesio in poi), nell'antichità era considerata (da Platone) un'entità perfetta e immutabile, di carattere divino, e con esistenza propria, quindi non era generata dall'intelletto. Il concetto di idea è stato introdotto da Platone, secondo il quale tutto ciò che appartiene al mondo delle cose sensibili è un tentativo di imitazione delle idee, immutabili, eterne e perfette (corrispondenti al vero essere). Queste infatti sarebbero "paradigma" di tutti gli oggetti o le azioni. Le idee di Platone vivono in un mondo a parte, detto Mondo delle Idee o Iperuranio e inoltre, nel dualismo gnoseologico platonico corrispondono all'episthmh, cioè la conoscenza immutabile e perfetta. Le idee esistono secondo Platone indipendentemente dall’essere pensate. Plotino, invece, farà un passo avanti: esistono nella misura in cui sono pensate da Dio. Per noi moderni, invece, le idee esistono se e quando le pensiamo noi.






da qui deriva un rigoroso dualismo























"Nel Fedone Platone introduce le idee soprattutto per una esigenza di carattere che oggi chiameremmo epistemologico, cioè per giustificare l'esistenza della scienza; egli pensa in particolare alla matematica, più precisamente ancora alla geometria, e nota come la matematica si serve di concetti, ad esempio il concetto di uguale, i quali non hanno un corrispettivo nella realtà empirica; noi nel mondo dell'esperienza in cui viviamo non incontriamo mai due cose perfettamente uguali, tuttavia la matematica usa il concetto di uguale ed è scienza. Questo significa secondo Platone che deve esistere in un mondo diverso dal mondo empirico, qualche cosa che costituisca l'oggetto di questa conoscenza, di questa scienza. Questo oggetto egli lo chiama idea usando un termine già diffuso nella lingua greca che in genere serviva a indicare l'aspetto visibile di qualche cosa, e che in Platone assume il significato di aspetto pensabile, intelligibile della realtà. Nel Parmenide la dottrina nasce per motivi analoghi, cioè per spiegare come una stessa realtà, uno stesso soggetto empirico possa partecipare di caratteri diversi, cioè possa avere in sè anche una molteplicità, e l'idea serve a spiegare questa compresenza di aspetti diversi in una medesima realtà: anche questa direi è una esigenza di carattere epistemologico. Non va dimenticato tuttavia che, specialmente nei primi dialoghi, Platone fa nascere le idee anche da una esigenza di ordine etico, penso soprattutto all’Eutifrone, agli altri dialoghi cosiddetti socratici in cui si cerca la definizione di una virtù e si parla, si introduce il termine idea proprio come il criterio alla luce del quale sia possibile riconoscere quali azioni sono virtuose e quali non lo sono.
Poi si è reso conto che per le stesse ragioni per cui aveva ammesso idee di valori morali e di relazioni era necessario ammettere idee di tutti gli oggetti esistenti nel mondo dell'esperienza, e quindi l'idea dell'uomo, per esempio  nella Repubblica egli nomina persino l'idea del "letto", cioè di una realtà artificiale, costruita dall'uomo. Nel Parmenide, dove in qualche modo riespone in maniera definitiva la dottrina delle idee, egli non esita ad ammettere anche idee di realtà spregevoli: l'idea del fango, l'idea del pelo, quindi di tutto ciò che esiste nella realtà empirica è necessario ammettere un'idea al fine di poter avere un concetto, una conoscenza concettuale della realtà empirica".



Enrico Berti, filosofo italiano e professore emerito di storia della filosofia, è stato presidente dell'Istituto Internazionale di Filosofia.


Estratto dalla collana "Philosophia"
Enrico Berti e Thomas Szlezak trattano le "Idee" di Platone





giovedì 17 gennaio 2013

IL MITO NELLA FILOSOFIA DI PLATONE



l'uso del mito in Platone, 2'

Platone, da filosofo, r
ifiuta la poesia come espressione artistica e dunque lontana dalla verità, illusione ingannevole. Eppure nei suoi dialoghi fa frequente ricorso ai miti, alcuni inventati, altri recuperati dalla tradizione culturale

Dunque per un verso Platone rappresenta il passaggio definitivo dal mythos, racconto favolistico, al trionfo del pensiero razionale, al Logos.
 Per un altro verso, pur attaccando il valore conoscitivo dei miti,  li dissemina nell’intera sua opera di conoscenza

Da qui una domanda: i miti sono dunque utili per la conoscenza della verità o vanno scartati perchè ingannevoli? Sono filosofici o poetici?

Da Platone impariamo che non c’è una  frattura radicale tra mito e pensiero razionale. Quindi il mito, produzione poetica, può essere anche introdotto nel discorso razionale, a sostegno del logos.

Diverse sono le funzioni  DEI MITI nei differenti dialoghi platonici, che l’autorevole studioso Mario Vegetti presenta, in base al contesto, in queste tre categorie:

come strategie didattiche che, attraverso le immagini, fanno meglio compendere il messaggio filosofico


come occasioni persuasive per far risaltare le finalità morali e politiche della sua filosofia 

come indicazioni di un percorso inaccessibile alla  filosofia, per cui completano in un certo senso la filosofia laddove essa è costretta a fermarsi





"Io vedo tre diverse funzioni attribuite da Platone al mito.

Una direi è la funzione propriamente filosofica, l'uso filosofico del mito, cioè il mito, vale a dire il ricorso a immagini, serve per illustrare più efficacemente il significato di dottrine che possono anche essere conosciute per mezzo di concetti; penso ad esempio al famoso mito della caverna con cui nel Settimo Libro della Repubblica si illustra il processo della conoscenza attraverso vari gradi; di per sé in questo caso il ricorso al mito non è indispensabile, perché questo processo può venire descritto anche per mezzo di concetti, tuttavia per renderlo più comprensibile, per esprimersi più efficacemente Platone ricorre al mito che in questo caso però ha soltanto il valore di una allegoria, di un paragone, di un'immagine, per questo io parlo dell'uso filosofico; qui il mito non è che un discorso che espone attraverso immagini un contenuto propriamente filosofico.

C'è poi un uso che chiamerei meta-filosofico del mito, cioè il mito usato per alludere a qualche cosa che va oltre le capacità della filosofia, che sta per così dire al di sopra, al di là della filosofia, per questo lo chiamo meta-filosofico, ad esempio il destino delle anime dopo la morte. Secondo Platone questo non è oggetto di conoscenza filosofica, non è possibile dire con certezza quale sarà questo destino. Tuttavia è necessario in qualche modo immaginarcelo e questo ci è consentito dal mito. Il mito in questo caso è un discorso che va oltre la filosofia, che non è filosofico, che è rischioso quindi, che può anche non essere vero, ma è un rischio come dice Platone nel Fedone, che deve essere corso, un rischio che è bello. Di questo tipo sono i miti appunto delle anime nel Fedone e il mito di Er nella Repubblica.

E infine c'è un terzo uso del mito che io chiamerei pre-filosofico o infra-filosofico ed è appunto quello del Timeo, e cioè laddove si ha a che fare con oggetti che non sono suscettibili di conoscenza rigorosa, di conoscenza scientifica, ci si deve accontentare di un discorso verosimile, qual è appunto il mito, proprio perché siamo ad un livello inferiore rispetto a quello della filosofia, il livello del mondo sensibile. 

Quindi c'è un mito filosofico, un mito che va oltre la filosofia, e un mito che resta al di sotto, al di qua della filosofia(...)"










mercoledì 16 gennaio 2013

Da Socrate a Platone



Ecco una presentazione delle analogie e differenze tra la filosofia socratica a quella platonica



domenica 13 gennaio 2013

Marx e la rivoluzione


Il prof. Umberto Curi presenta


( 01:24')


dal Caffè filosofico


L'aspirazione prometeica alla giustizia del grande pensatore tedesco




Dove si trova la felicità?





Esiste una formula per raggiungere la felicità? Per dare risposta a questo e agli infiniti  interrogativi che si scatenano indagando sulla questione, il Festival della Scienza quest'anno, dal 17 al 20 gennaio all'Auditorium di Roma, propone una  kermesse con grandi nomi della ricerca scientifica italiana e internazionale, filosofi, storici della scienza, scrittori, esperti. Da Sonam Phuntsho a Mark Williamson, da Amartya Sen a Darrin McMahon, da Gustavo Zagrebelsky a Ezio Mauro, da Shimon Edelman a Paul Bloom. Incontro dopo incontro, il tentativo sarà cercarla, trovare una sede di questa felicità. Il cervello, forse? E quali le formule per conquistarla? Insomma provare a capire se questo pervasivo oggetto dell'indagine umana è il frutto di una reazione chimica, o è qualcosa di più profondo dentro di noi e in che misura il mondo che ci circonda la può influenzare.
Il tema è affascinante e non risparmia nessuno: tutti gli uomini, sosteneva Socrate, agiscono sempre e comunque per raggiungere la felicità, la loro eudaimonia.
In attesa di aggiungere qualcosa a quanto già sia stato detto  fino ad oggi da  filosofi e scienziati per comprendere la formula del vivere felici :-), possiamo iniziare la nostra ricerca con questo


Cosa augurare dunque? Buona ricerca a tutti, il Grande Sogno vi aspetta!

venerdì 11 gennaio 2013

Il rispetto della legge


La democrazia si fonda sullo stato di diritto, cioè sullo stato che respinge il potere arbitrario di uno o di pochi e riconosce solo  una costituzione di leggi.

Non può dunque esistere democrazia senza rispetto della legge.



Così le LEGGI si rivolgevano a Socrate, invitato dai compagni alla fuga dopo la condanna,  nel Critone di Platone

LEGGI: Socrate, guarda ora se diciamo vero, che tu ci fai oltraggio facendo quello che ti disponi a fare. Perché noi che ti abbiamo generato, nutrito ed educato, e abbiamo fatto partecipe te e tutti i cittadini di quei beni che potevamo procurarvi, noi dichiariamo che  chiunque fra gli Ateniesi lo desideri può trasferirsi dove vuole con tutti i suoi beni se, ottenuti tutti i diritti civili e conosciuti gli ordinamenti dello Stato e noi stesse, le LEGGI, non ci trovi di suo gradimento.
Nessuna di noi vieta e impedisce ad alcun di voi Ateniesi di trasferirsi in una colonia, se è scontento di noi e della città, portando con sé le proprie ricchezze.

MA, chi di voi rimane in Atene, accettando il nostro sistema di amministrare la giustizia, egli, diciamo, coi fatti si impegna all’obbedienza di quel che noi  comandiamo; e, non obbedendo, diciamo che egli ci fa TORTO in tre maniere:

la prima, che non ubbidisce a noi che gli abbiamo dato la vita
la seconda, che non ubbidisce a noi che lo abbiamo allevato
la terza, che non ubbidisce dopo che promesso avea di ubbidire, e  non ci persuade dei nostri eventuali errori;  e avendogli proposto benignamente, non già comandato con asprezza, d'osservare tutto ciò che noi ingiungiamo, e lasciato in suo potere o di aprirci gli occhi sui nostri errori o di ubbidire, egli né fa una cosa né l'altra.

SOCRATE: (…) Tutte queste parole, credimi, mi sembra di udire, mio caro Critone, come i Coribanti che dicono di sentire il suono del flauto, ed esse rimangono dentro di me e fanno in modo che io non possa ascoltarne altre. Quindi questo è ciò che ora a me sembra, e se credi di potermi arrecare qualche giovamento convincendomi del contrario, la tua vita sarà sprecata. Tuttavia, parla pure se credi di poter riuscire a qualcosa.

CRITONE: Socrate, io non so proprio cosa dire

SOCRATE: E allora lascia andare, Critone, seguiamo questa via, sulla quale dio ci ha messi


 


BENIGNI PRESENTA SOCRATE

giovedì 10 gennaio 2013

Intelletto e volontà nel raggiungimento del bene


L'uomo considerato non solo nella sua corporeità, ma anche come intelligenza e volontà, è da sempre il soggetto di ogni riflessione etica.


Possono da sole ragione e  conoscenza guidare verso il bene, come riteneva Socrate con il suo "intellettualismo etico"? 
Oppure è fondamentale il ruolo della volontà che guida, costringe, obbliga, secondo "l'etica dell'intenzione" che ci viene indicata  dall'imperativo kantiano?

Riflettiamo sulle due proposte:

Esiste un solo bene, la conoscenza, e un solo male, l'ignoranza.

Socrate, in Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, III sec.


 "Agisci in modo che la volontà, con la sua massima, possa considerarsi come universalmente legislatrice rispetto a se stessa".


I. Kant, Critica della Ragion pratica,1788

mercoledì 9 gennaio 2013

ABOVE US ONLY SKY



Roberto Testa di 3 H mi ha inviato questa sua riflessione sulla Pace. La pubblico quasi integralmente(il testo era molto più lungo ed è stato solo per questo adattato al format del blog), lascio che a parlare sia  la spontaneità del suo sentire, la necessità che lo ha portato a comunicarci  quello che per lui non è solo un pensiero, ma un bisogno esistenziale.

Oggi voglio parlare di una  delle cose più importanti a cui l'uomo possa aspirare:  la pace.

La Pace è quell'unione mondiale e universale che permette di vivere bene, in armonia. La pace non è solo il periodo di non-belligeranza. La Pace, secondo me, è il rispetto tra una persona ed un'altra, tra uno stato e un altro,   Ma per essere in pace con le altre persone, bisogna essere prima in pace con se stessi: bisogna capire se si è un membro valido per la società, per il mondo, e non è facile! Se si riesce, e il risultato è più che positivo, si può andare direttamente alla seconda fase. Se non è positivo, per prima cosa bisogna capire quali problemi interni e psicologici fanno da freno. Certamente uno dei più grossi problemi dell'uomo di sempre, e di oggi in particolare, è la superbia (e la presunzione). Se molte persone fossero più umili capirebbero che da soli non si può fare nulla, e che c'è sempre bisogno dell'aiuto di qualcuno. Forse non sanno che non si può costruire una casa se non ha il muratore, e anche se l'avessero, mancherebbe sempre un ingegnere, un geometra, e poi un idraulico, un elettricista, coloro che producono il cemento, le fabbriche e via dicendo..

Tornando alla pace, una fase ancora più difficile, la seconda, è quella che chiede di essere in sintonia  con le persone che ci stanno accanto ogni giorno: i vicini di casa, i compagni di scuola e di attività, i colleghi, gli insegnanti, i concittadini..se riuscissimo soltanto ad essere in pace, cioè a rispettare e a voler bene ognuno di loro, tutto si risolverebbe. Sono i cittadini che fanno il comune, i comuni che fanno la provincia, le province che fanno le regioni, le regioni che fanno gli stati, gli stati che fanno i continenti, i continenti che fanno il mondo.Sono sicuro che se già cominciassimo da oggi ad aiutare, a rispettare, a volerci bene, tra poco meno di un anno tutto si risolverebbe.

A questo punto ognuno di voi direbbe (giustamente): "Ma è impossibile!". Beh, io vi dico di no; come diceva uno tra i più grandi messaggeri della pace nel mondo, John Lennon, cantante e chitarrista dei "vecchi" Beatles, ma anche poeta, scrittore, rivoluzionario, attivista..: It's easy If you try. E' facile se ci provi. E aggiunge: A dream you dream alone, is only a dream. A dream you dream together is reality. Un sogno che hai da solo è solo un sogno.Un sogno che si ha insieme, è realtà.Inoltre, l'inno alla pace è proprio il suo, ed è anche contro il razzismo..Si chiama Imagine, ed invita l'uomo ad immaginare, ma nello stesso tempo a provare nella realtà quello che si immagina. Dice: "Immagina non ci sia ne' il Paradiso, ne' l'Inferno, Immagina che non ci siano ne' confini, ne' nazioni, ne' religioni, immagina tutte le persone, tutti fratelli, che vivono felicemente condividendo la felicità per tutto il mondo. Forse puoi dire che sono un sognatore, ma be', non sono l'unico".

Questa è la mia filosofia di vita e spero di portarla avanti perchè anche se Lennon è morto nel 1980 (assassinato da un uomo), le sue idee sono arrivate  fortunatamente anche a me. Secondo me l'importante è provarci e non mollare mai, non stancarsi mai perchè prima o poi, qualcuno arriverà e capirà la vera situazione, ma soprattutto, farà capire al mondo intero (John ci ha provato) il vero modo per riavere la pace e provare così uno stato d'animo e una sensazione paradisiaca, tranquilla e serena e con tanto amore e rispetto che non ci saranno più Paradiso e Inferno, ma ci sarà, come dice Lennon, e come è scritto su una targa  nell'aeroporto a lui dedicato:

ABOVE US ONLY SKY. Sopra di noi un unico cielo.

Roberto Testa

martedì 8 gennaio 2013

Il metodo socratico





Aristotele ha attribuito a Socrate la scoperta del concetto e del metodo induttivo, visti come l’essenza del metodo scientifico, sostenendo però al contempo la loro inadeguatezza al trattamento dei problemi dell’etica. In realtà il dialogo socratico ha un profondo valore morale basato sul rispetto dell'interlocutore.


Che cos'è il coraggio?
Scheda con esercizio sulle fasi e l'applicazione del metodo socratico



domenica 6 gennaio 2013

Lavoro e alienazione nell'analisi marxiana





"L'operaio diventa tanto più povero quanto più produce ricchezza, quanto più la sua produzione cresce in potenza e estensione. L'operaio diventa una merce tanto più a buon mercato quanto più crea delle merci"

Karl Marx, Manoscritti economico-filosofici




"A un dato punto del loro sviluppo, le forze produttive materiali della società entrano in contraddizione con i rapporti di produzione esistenti, cioè con i rapporti di proprietà (che ne sono soltanto l'espressione giuridica) dentro i quali tali forze per l'innanzi s'erano mosse. Questi rapporti, da forme di sviluppo delle forze produttive, si convertono in loro catene. E allora subentra un'epoca di rivoluzione sociale"

Karl Marx, Per la critica dell'economia politica




venerdì 4 gennaio 2013

essere conservatore oggi




 
Viene attribuita a Protagora la formula classica del relativismo "l'uomo misura di tutte le cose, delle cose che sono in quanto sono, delle cose che non sono in quanto non sono". Ed è certamente vero che il filosofo greco intendeva colpire l'assolutismo di Parmenide e liberare il processo della conoscenza dai paletti dell'unica verità indubitabile e intramontabile, inaugurando, suo malgrado, la plurisecolare diatriba tra relativismo ed antirelativismo in ambito teoretico e pratico.
Proprio in questa cornice teoretica e pratica si può leggere l'intervento di Ilvo Diamanti pubblicato oggi su Repubblica sul significato di essere oggi CONSERVATORE. Il termine in sè non è  indicatore assoluto di una posizione retrograda sul piano della conoscenza e dello sviluppo civile, come spesso si ritiene. Il suo uso può essere anzi occasione per ribadire cosa è importante custodire per non cadere nel baratro della nullità e della superfluità di ogni azione o comportamento umano. Per creare civiltà e pensare ad un  futuro umanamente possibile.

"Conservatori. È l'accusa che Mario Monti ha rivolto a Stefano Fassina, Nichi Vendola. E a Susanna Camusso. I quali, da tempo, avevano imputato al Professore, questo stesso peccato capitale. Monti: colpevole di essere un "conservatore". Perché i conservatori, in Italia, sono impopolari. E stigmatizzati. Da sinistra, ma anche da destra. Nessuno che ammetta di esserlo.

Ebbene, vorrei fare coming out. Io sono un conservatore. Non riesco ad ad accettare i sentieri imboccati dal cambiamento. Molti, almeno. Il paesaggio urbano che mi circonda. E mi assedia. La plaga immobiliare che avanza senza regole e senza soste. L'indebolirsi delle relazioni personali e dei legami comunitari. Il declino dei riferimenti di valore  -  perfino di quelli tradizionali. La famiglia ridotta a un centro servizi, a un bunker sotto assedio. La retorica dell'individualismo esibizionista e possessivo. Che ci vuole tutti imprenditori  -  di se stessi. La Rete come unico "spazio" di comunicazione. Gli smartphone che rimpiazzano il dialogo fra persone. I tweet al posto delle parole. La relazione senza empatia. Le persone sparse che parlano  -  e ridono, imprecano, mormorano - da sole.

In tanti intorno a un tavolo, oppure seduti, uno vicino all'altro. Eppure lontani.
Ciascuno per conto proprio, a parlare con altri. In altri luoghi - distanti. Tempi strani, nei quali tanti si sentono "spaesati", perché il "paese" appare un residuo del passato. E la "comunità": un fantasma della tradizione.
Il lavoro senza regole e senza continuità. La flessibilità senza fine e senza un fine. Cioè: la precarietà. La politica senza società, il partito personale, riassunto in un volto e in un'immagine. Dove i consulenti di marketing hanno sostituito i militanti. E al posto delle sezioni si usano i sondaggi (d'altronde, quando si dà la possibilità ai cittadini di esprimersi si recano a milioni, alle urne, di domenica e persino a capodanno).

Insomma: i personaggi, gli interpreti e i luoghi della modernità liquida. Non mi piacciono. Li conosco ma non mi ci riconosco. Magari li subisco  -  in silenzio. Ma preferisco  -  di gran lunga - "conservare" quel che resta: del territorio, della comunità, delle relazioni personali, dell'economia "giusta", della politica come identità. Il "nuovo" come valore in sé non mi attira.

Lo ammetto: sono un conservatore. E ne vado orgoglioso. "

Ilvo Diamanti