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domenica 15 dicembre 2013

Il mito di Theuth


può la scrittura condurre al vero?
 Ecco quanto Platone sostiene nel dialogo Fedro, presentando il mito di Theuth


“ Dunque trovato hai medicina, non per accrescere la memoria, sibbene per rivocare le cose alla memoria. 
E quanto a sapienza, tu procuri ai discepoli l'apparenza sua, non la verità; ”




SOCRATE: "Ho udito , dunque, che nei pressi di Naucrati d' Egitto c' era uno degli antichi dèi locali, di nome Theuth, al quale apparteneva anche l' uccello sacro chiamato Ibis. Fu appunto questo dio a inventare il numero e il calcolo, la geometria e l' astronomia e, ancora, il gioco del tavoliere e quello dei dadi, e soprattutto la scrittura. Regnava a quel tempo su tutto l' Egitto Thamus, che risiedeva nella grande città dell' Alto Egitto che i Greci chiamano Tebe e il cui dio chiamano Ammone. Recatosi al cospetto del faraone, Theuth gli mostrò le sue arti e disse che occorreva diffonderle tra gli altri Egizi. Quello allora lo interrogò su quali fossero le utilità di ciascuna arte mentre Theuth gliela spiegava, il faraone criticava una cosa, ne lodava un' altra, a seconda che gli paresse detta bene o male. Si dice che Thamus abbia espresso a Theuth molte osservazioni sia pro sia contro ciascuna arte, ma riferirle sarebbe troppo lungo. Quando Theuth venne alla scrittura disse: "Questa conoscenza, o faraone, renderà gli Egizi più sapienti e più capaci di ricordare: é stata infatti inventata come medicina per la memoria e per la sapienza". Ma quello rispose: "Ingegnosissimo Theuth, c' é chi é capace di dar vita alle arti , e chi invece di giudicare quale danno e quale vantaggio comportano per chi se ne avvarrà. E ora tu, padre della scrittura, per benevolenza hai detto il contrario di ciò che essa é in grado di fare. Questa infatti produrrà dimenticanza nelle anime di chi l' avrà appresa, perché non fa esercitare la memoria. Infatti, facendo affidamento sulla scrittura, essi trarranno i ricordi dall' esterno, da segni estranei, e non dall' interno, da sé stessi. Dunque non hai inventato una medicina per la memoria, ma per richiamare alla memoria. Ai discepoli tu procuri una parvenza di sapienza, non la vera sapienza: divenuti, infatti, grazie a te, ascoltatori di molte cose senza bisogno di insegnamento, crederanno di essere molto dotti, mentre saranno per lo più ignoranti e difficili da trattare, in quanto divenuti saccenti invece che sapienti" .

FEDRO: Socrate, con che facilità tu fai discorsi egizi e di tutti i Paesi che vuoi !

SOCRATE: Gli antichi, mio caro, dissero che nel santuario di Zeus a Dodona, da una quercia , provennero i primi discorsi divinatori. Agli uomini di quel tempo dunque, dato che non erano sapienti come voi giovani, bastava nella loro semplicità ascoltare una quercia o un sasso, purchè dicessero il vero. A te invece importa forse sapere chi é colui che parla e da dove viene; non ti accontenti infatti di esaminare se le cose che dice stanno o meno così.

FEDRO: Hai fatto bene a rimproverarmi : anche a me pare che circa la scrittura le cose stiano come sostiene il Tebano.

SOCRATE Dunque, chi credesse di affidare alla scrittura la trasmissione di un' arte e chi a sua volta la ricevesse, convinto che dalla scrittura gli deriverà qualche insegnamento chiaro e solido, sarebbe molto ingenuo e ignorerebbe in realtà l' oracolo di Ammone, credendo che i discorsi scritti siano qualcosa di più del richiamare alla memoria di chi già conosce gli argomenti trattati nello scritto."

 L'INTERPRETAZIONE PLATONICA:


Il giudizio di Platone nei confronti della scrittura intesa come strumento di diffusione ed organizzazione del sapere, è fondamentalmente negativo (è tuttavia presente una distinzione tra "buona" e "cattiva" scrittura) e può essere riassunto in sette punti fondamentali:

· mentre il logos è associabile alla vita ed alla sua dynamis, la scrittura è copia inanimata dell'oralità, soggetta inevitabilmente a corruzione e connessa alla morte

· lo scritto non accresce né la sapienza, né la memoria, risultando utile solo a chi voglia rinfrescare il ricordo di ciò che già conosce

· la scrittura è muta, incapace di autodifendersi

· la scrittura, in quanto accessibile a tutti, è "anonima", fuori tempo rispetto al momento di nascita e quindi soggetta a possibilità di equivoco

· lo scritto è un "gioco", mentre l'oralità è "cosa seria", scientificamente fondata

· solo l'oralità è chiara e compiuta: la phoné è un significante quasi inconsistente, molto vicino alla natura fluida e pura del logos, mentre la grammé (significante del significante) presenta un forte distacco dal significato


· le "cose maggiori non sono affidate agli scritti"(qui esiste probabilmente un riferimento ad una situazione di coercizione sociale e culturale per cui il filosofo non poteva diffondere in modo aperto le proprie riflessioni).



UNA PROPOSTA DI PIA VACANTE

4 commenti:

  1. Sapete già quanto vi ammiro. Questa mattina ho condiviso il vostro post anche per tornare a riflettere sulla straordinaria forza che conservano i miti. Platone, da buon discepolo di Socrate, sapeva che il linguaggio verbale, essendo più mobile di quello scritto, riesce a cogliere meglio il carattere mobile delle cose vive. Ma si è preoccupato, più di Socrate, di lasciare una traccia dei suoi pensieri. A questo serve, soprattutto, la scrittura! Sui miti bisogna tornare a parlare anche per riuscire a capire la ragione della loro persistenza anche tra persone non colte...

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  2. Questo post mi è piaciuto tantissimo e l'ho condiviso per farlo leggere anche ai miei conoscenti, quindi come al solito mi congratulo per i vostri gusti raffinati. Dato che Platone dà più importanza all'oralità che agli scritti, mi chiedo quale percorso ci abbia portato oggi a considerare gli ultimi più importanti dei primi. Non so se sia cresciuta nel tempo una sorta di paura del confronto diretto che ha autorizzato a "rifugiarsi" nella scrittura, ma di certo oggi si ha sempre più paura di chi può parlarti guardando negli occhi. Anche lo sfruttamento eccessivo della tecnologia, che apparentemente dovrebbe avvicinarci alle persone più lontane, in realtà ci isola da coloro che ci circondano. Cosa è successo?

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  3. Francesco ha ragione, la scrittura aiuta a conservare e quindi a lasciare tracce nella storia, fondamentali per ripercorrere il cammino dell'umanità. Quanto al mito la sua suggestione è straordinaria, anche Freud vi fa ricorso per spiegare il mondo dell'inconscio che, come il mito, non è governato dalla ragione pur essendone una sua inconsapevole condizione.

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  4. La domanda che pone Maria Grazia è complessa ed abbraccia tutto il regno della comunicazione. Bisogna precisare tuttavia che l'oralità nel mondo greco rappresentava un percorso veritativo, l'oracolo consegnava il volere delle divinità e all'uomo toccava interpretare il sacro enigma riflettendo, meditando, interrogandosi senza pausa. Scrivere non era urgente nè necessario. Nell'Apologia di Socrate Platone ci racconta del lungo lavoro del suo maestro per interpretare le parole consegnate dalla Pizia a Cherofonte. Oggi la parola orale ha spesso altra e diversa funzione, non di rado lontana dalla ricerca della verità. Le innovazioni tecnologiche avvicinano di certo le persone lontane in modo virtuale ma, quasi per un paradosso, allontanano da quelle più vicine. Per alcune puntualizzazioni di respiro sociopolitico, segnalo il bell'editoriale di ieri di Eugenio Scalfari, Un paese che perde il senso delle parole (http://www.repubblica.it/politica/2013/12/15/news/un_paese_che_perde_il_senso_delle_parole-73622928/?ref=HRER2-1).
    Mi piacerebbe sapere da Maria Grazia (ma non solo) cosa ne pensa :-)

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