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giovedì 3 ottobre 2013

quando la vita diventa impossibile


 per cercare di capire il dramma dei migranti annegati a Lampedusa poche ore fa, 
le parole di alcuni sopravvissuti raccolte nel centro di accoglienza di Mineo 
da Medici senza frontiere

tanto dolore profondo, lacerante, per questa umanità respinta, negata
cancellata dal mondo

.....e la nostra
la chiamiamo civiltà....



Le bombe stavano distruggendo case e palazzi, per questo siamo fuggiti e
abbiamo trovato rifugio in una piantagione. 
Siamo stati lì per un po’ di tempo.
Non c’era nulla da mangiare. Abbiamo sofferto molto
.
Il mio datore di lavoro ci ha portati alla barca. 
Eravamo sotto la minaccia di
coltelli e pistole. Alcune persone continuavano a ripetere:
 “perché siete qui?
Perché non volete andar via?”
Quando è iniziata la guerra, i bambini non potevano
più   uscire di casa dopo lascuola.
 Eravamo prigionieri in casa tutto il tempo.
E’ stato molto duro anche per le donne.
Ciononostante, io e la mia famiglia siamo rimasti i
n Libia perché avevamo
conosciuto tempi peggiori in Nord Kivu, da dove pro
veniamo.
Il viaggio in mare è stato terrificante. 
La barca sembrava in balia delle onde.
Ognuno pregava il proprio Dio, l’odore del mare dava 
il voltastomaco...terribile.
Non sapevo di essere diretta in Italia. 
Inizialmente non volevo rischiare lasciando
la Libia con i miei bambini ma il mio 
datore di lavoro ci ha consigliato di andare e
ci ha condotto alla barca.
 Vivere in Libia non era più possibile
 Jeannette, 42, Congo

La barca era la nostra unica possibilità
di scampare alla morte. 
Quando siamo
stati tratti in salvo ci hanno detto
“benvenuti in Italia”. 
In quel momento mi sono
sentito nuovamente vivo. 
Ci hanno chiesto cose come:
 “stai bene? Hai caldo?”.
Poi ci hanno trasferito a Mineo
attraverso una grande nave.
 
Akin, 34, Nigeria
testimonianze raccolte da

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