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domenica 3 marzo 2013

Il mito di Atlantide

Secondo la mitologia, Atlantide era un'isola che scomparve improvvisamente inghiottita dall’oceano. Per molti non è mai esistita; altri, invece, affermano il contrario, credendo ai diversi racconti e miti che la riguardano: uno dei più famosi è quello del Crizia di Platone, opera appartenente ai dialoghi della vecchiaia. Platone parla qui dell'esistenza di due grandi città che entrarono in conflitto tra loro: Atene, l'attuale capitale della Grecia , e Atlantide, città che per via di cataclismi si inabissò e sparì dalla faccia della Terra, dando poi  il nome all'Oceano Atlantico.
Platone riporta questo mito anche nel Timeo, immaginandolo come una storia narrata da un sacerdote egiziano a Solone, durante il suo viaggio in Egitto. I Greci avrebbero perso il ricordo di queste vicende in seguito ai diluvi che periodicamente ne sconvolgono le civiltà (il che non accade invece agli Egiziani, che hanno mantenuto questi ricordi). Platone si inventa un mito fondativo, un inizio nobile da cui far discendere gli ateniesi suoi contemporanei.


Ecco una presentazione del mito:
Il mito di Atlantide mette a confronto due grandi città: Atene e Atlantide, per l'appunto. Un giorno gli dei dell’Olimpo si riunirono per decidere della suddivisione del territorio greco: la Dike (la giustizia divina) assegnò Atene ai due fratelli Efesto, dio-fabbro, e Atena, dea della sapienza. Condivisero lo stesso spazio per via, si pensa, del loro grado di parentela o forse perché avevano gli stessi interessi, cioè l’arte e il sapere. La città si arricchì e la sua fama aumentò grazie al retto agire dei suoi cittadini, che esercitarono tutte le professioni, da quella di artigiano a quella di guerriero, nel migliore dei modi. Non esistevano né la proprietà privata né tutti i problemi ad essa legati.

Atlantide invece fu affidata, grazie al ‘sorteggio divino’, a Poseidone, il signore dei mari. L’isola era formata da una pianura fertilissima: al suo centro si ergeva un monte, sulla cui vetta abitavano Eunone e sua moglie Leucippe, con la figlia Clito, che rimase orfana proprio nell’‘età matrimoniale’, quando, cioè, i genitori erano soliti cedere le proprie figlie ai mariti da loro scelti. Clito, sofferente per la morte del suo papà, spinse a compassione Poseidone, al tal punto che il dio decise di sposarla. Il loro rapporto, però, fu particolare: la figlia di Eunone e Leucippe fu isolata completamente dagli altri uomini; Poseidone, infatti, creò intorno alla vetta dei cerchi concentrici, che si alternavano con distese circolari di terra e anelli di acqua: in questo modo si originò un’isola a sé stante, divisa dalla città.

Poseidone e Clito successivamente decisero di allevare cinque coppie dei gemelli, futuri governatori della città. Quando divennero adulti, il dio del mare divise l’isola in dieci parti, assegnata ognuna a uno dei suoi figli; la chiamò Atlantide, dal nome del suo figlio più vecchio, Atlante. L’isola prosperò magnificamente: giustizia e collaborazione erano le parole d’ordine, che, purtroppo, persero col tempo il loro valore, ed egoismo e corruzione fecero la loro comparsa. Zeus, a quel punto, non poté fare altro che distruggerla, poiché soggiogata dai peggiori ‘mali’ dell’uomo. Finì così la mitica storia di Atlantide, quell’isola che nacque nella prosperità e si inabissò nel mare del male.

Con questo mito Platone volle spiegare l’importanza della Repubblica, che rende realmente prospera ed efficiente in ogni campo una città: gli ateniesi dell’Atene repubblicana agirono guidati dalla virtù, lontani dalla bramosia di ricchezza; gli atlantidei, invece, furono accecati dalla voglia di conquista, dal desiderio di espansione, che offuscò la loro essenza divina.

dal Timeo di Platone

La dimensione greca della politica, intesa come ricerca del bene comune, quello di tutta la città (pòlis), in una dimensione troppo grande non sarebbe praticabile.
La crescita degli apparati statali, con la conseguente estensione della burocrazia, portano nel tempo a ostacolare la partecipazione dei cittadini all’esercizio del potere. Il mito di Atlantide può essere considerato, da questo punto di vista, come il risvolto in negativo dell’utopia: ossia come la descrizione di che cosa accade quando si perde il senso della misura.

 " A lungo gli abitanti di Atlantide erano vissuti in modo virtuoso e assennato; l’immensa ricchezza non poteva guastare la loro indole. Ma quando alla fine, nonostante tutto, soggiacquero all’avidità di possesso e alla fame di potere, Zeus decise di ricondurli alla ragione, punendoli. […]
Platone fa vincere la più piccola Atene sull’immensa potenza di Atlantide: l’autarchica
pólis greca racchiude la miglior struttura politica, se comparata alle dimensioni non più umane del gigantesco regno straniero.
(...) L’aumento smisurato della ricchezza e della potenza e il perfezionamento tecnico dell’esercizio del potere portano a uno Stato mostruoso, che si pone come obiettivo la sottomissione di tutta l’umanità."                                                                       T. A. Slezák, Platone politico
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                                                             di T. A. Slezák, Platone politico
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1 commento:

  1. sia nel mito di Atlantide, sia nel mito delle stirpi, emerge la concezione platonica dello stato, il modello ideale di un' utopia, di un assetto politico che non trova e non potrà mai trovare riscontro nella realtà, nè odierna nè in quella di "ieri".
    La realizzazione di questo stato porterebbe alla staticità, ad un'assenza di scambio di idee, al far diventare gli uomini delle macchine al servizio dello stato, prive di idee PROPRIE.
    Quindi è proprio l'uomo ad assere l'ostacolo alla riuscita del progetto, l'uomo e la sua natura rivoluzionaria, cangiante, in un'unica parole imperfetta... E per fortuna!

    Se ne deduce facilmente che il modello di Platone sia un modello assolutamente perfetto,ma che l'uomo invece sia una "macchina" totalmente imperfetta inappropriata per la riuscita dell'ideale platonico.

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