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sabato 2 febbraio 2013

Il mito della caverna



Il mito della caverna:

conoscenza e libertà







Platone, Repubblica, libro VII


"Si immaginino degli uomini chiusi fin da bambini in una grande dimora sotterranea, incatenati in modo tale da permettere loro di guardare solo davanti a sé. Dietro di loro brilla, alta e lontana, la luce di un fuoco, e tra il fuoco e i prigionieri corre una strada con un muretto. Su questa strada delle persone trasportano utensili, statue e ogni altro genere di oggetti; alcuni dei trasportatori parlano, altri no. Chi sta nella caverna, non avendo nessun termine di confronto e non potendo voltarsi, crederà che le ombre degli oggetti proiettate sulla parete di fondo siano la realtà (ta onta); e che gli echi delle voci dei trasportatori siano le voci delle ombre. [514a ss]

Per un prigioniero, lo scioglimento e la guarigione dai vincoli e dalla aphronesis (mancanza di discernimento) sarebbe una esperienza dolorosa e ottenebrante. Il suo sguardo, abituato alle ombre, rimarrebbe abbagliato: se gli si chiedesse - con la tipica domanda socratica - di dire che cosa sono gli oggetti trasportati, non saprebbe rispondere, e continuerebbe a ritenere più chiare e più vere le loro ombre proiettate sulla parete. Per lui sarebbe difficile capire che sta guardando cose che godono di una realtà o verità maggiore (mallon onta) rispetto alle loro proiezioni.

Il dolore aumenterebbe se fosse costretto a guardare direttamente la luce del fuoco. E se fosse trascinato fuori dalla grotta, per l'aspra e ripida salita, e dovesse affrontare la luce del sole, la sua sofferenza e riluttanza si accrescerebbe ancora.

Il suo processo di acclimatazione al mondo esterno dovrebbe essere graduale: prima dovrebbe imparare a discernere le ombre, le immagini delle cose riflesse nell'acqua, e poi direttamente gli oggetti. Il cielo e i corpi celesti dovrebbe cominciare a guardarli di notte, e solo in seguito anche di giorno.

Una volta ambientatosi, potrebbe cominciare a ragionare sul mondo esterno, sulla sua struttura, e sul luogo che ha in esso il sole. Solo allora il prigioniero liberato, ricordandosi dei suoi compagni di prigionia e della loro conoscenza, potrebbe ritenersi felice per il cambiamento.

Ma se ritornassero nella caverna, i suoi occhi, abituati alla luce, sarebbero quasi ciechi. I compagni lo deriderebbero, direbbero che si è rovinato la vista, e penserebbero che non vale la pena di uscire dalla caverna. E se qualcuno cercasse di scioglierli e di farli salire in superficie, arriverebbero ad ammazzarlo.

Uccidere chi viene dall'esterno è facile, perché, essendo quest'uomo abituato alla gran luce dell'esterno, sarebbe costretto a contendere nei tribunali o altrove sulle ombre del giusto, con persone che la dikaiosyne (la giustizia come virtù personale) non l'hanno veduta mai. [515c ss]"



Una lettura del mito





prof. Giovanni Giorgini
Università di Bologna

La conoscenza nel mito della caverna


I CINQUE SIGNIFICATI DEL MITO DELLA CAVERNA
Innanzitutto, quello ONTOLOGICO. Il mito della caverna simboleggia i generi dell’essere sensibile e soprasensibile con le suddistinzioni:
le ombre della caverna sono le mere parvenze sensibili delle cose, le statue le cose sensibili; il muro è lo spartiacque che divide le cose sensibili e le soprasensibili; al di là del muro le cose simboleggiano il vero essere e le Idee, e il Sole simboleggia l’Idea del Bene.

In secondo luogo, quello GNOSEOLOGICO. Il mito simboleggia i gradi di conoscenza nelle due specie e nei due gradi di queste: la visione delle ombre simboleggia l’immaginazione, e la visione delle statue simboleggia la credenza; il passaggio dalla visione delle statue alla visione degli oggetti veri e la visione del sole, prima mediata (dianoia) e poi immediata (noesis), rappresenta la dialettica nei vari gradi (procedimento discorsivo) e la pura intellezione ( conoscenza pura delle idee)


In terzo luogo simboleggia l’aspetto mistico e  TEOLOGICO del platonismo: la vita nella dimensione dei sensi e del sensibile è vita nella caverna, così come la vita nella dimensione dello spirito  è vita nella pura luce; il volgersi dal sensibile all’intellegibile è espressamente rappresentato come conversione; e la visione suprema del sole e della luce in se è visione del Bene e contemplazione del Divino.

Nella concezione squisitamente platonica si esprime, in quarto luogo, la concezione POLITICA. Platone parla infatti anche di ritorno nella caverna di colui che si era liberato dalle catene, di un ritorno che ha come scopo la liberazione dalle catene di coloro in compagnia dei quali, egli prima era schiavo. Questo ritorno è indubbiamente il ritorno del filosofo – politico, il quale se seguisse il suo solo desiderio, resterebbe a contemplare il vero, e invece superando il suo desiderio, scende per cercare di salvare anche gli altri ( il vero politico, secondo Platone, non ama il comando ed il potere, ma usa comando e potere come servizio per attuare il bene).
Ma l’uomo che ha “visto” il vero Bene, dovrà e saprà correre il rischio di non essere creduto e di non potersi più riadattare e riabituare al buio, quando ritornerà nella caverna. da qui
Egli potrebbe anche essere considerato pazzo e malato, deriso dai suoi compagni che non accettano le sue parole, e infine ucciso: Platone vuole ricordare la sorte toccata a Socrate.

Non va trascurata una quinta interpretazione del mito, quella PEDAGOGICA e didattica, volta a suggerire la gerarchia fra le discipline del sapere accessibili all'uomo attraverso l'educazione. In basso tra certamente l'arte, riproduzione di un mondo sensibile ingannevole e apparente, copia della copia dunque. Unica eccezione è riservata alla Musica,  secondo una interpretazione pitagorica: alla musica prodotta dall'uomo, e dunque mutevole ed imperfetta, Platone affianca la musica che diventa oggetto della ragione e non dei sensi, forma altissima di sapienza e vicina alla filosofia.  Nella piramide del sapere, all'arte segue la conoscenza fisica della realtà, parziale rivelazione dell'essere vero; primo gradino della conoscenza veritativa è la matematica, che rispecchia purezza e perfezione della vera realt; infine la filosofia, sapere dialettico volto al bene, al bello, al vero.
 



la LINEA della conoscenza secondo Platone


2 commenti:

  1. Platone narra il mito della caverna, uno dei piú famosi ed affascinanti. In esso si ritrova,espressa nel linguaggio accessibile del mito , tutta la teoria platonica della conoscenza, ma anche si ribadisce il rapporto tra filosofia e impegno di vita: conoscere il Bene significa anche praticarlo; il filosofo che ha contemplato la Verità del Mondo delle Idee non può chiudersi nella sua torre d’avorio: deve tornare ,a rischio della propria vita, fra gli uomini, per liberarli dalle catene della conoscenza illusoria del mondo sensibile.

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  2. E' assurdo come l'uomo,spinto dalla curiosità e dalla voglia di scoprire la verità,venga punito con la morte da coloro che,per paura e per fragilità,ignorano il pensiero di un mondo fatto da cose che vanno al di là della loro immaginazione. Vivranno per sempre immersi nell'illusione,nella falsità e nell'ignoranza.

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